Daniele Barbieri nella sua breve prefazione a questa raccolta di poesie parla di “ frammenti di un discorso amoroso, con l’inevitabile contraltare dell’angoscia e del dolore “, e conclude il suo intervento accennando al “ dolore della solitudine o dell’essere abbandonati o del semplice esaurimento di una passione “. Sono queste le premesse dalle quali sono partito anch’io, dopo varie letture, perché nulla mi sembra più adatto a comprendere lo spirito che infarcisce ogni verso se non un senso di delusione, un’amarezza di sé e degli altri che fanno sì che la dedica che appare in apertura e che suona quasi come un rimpianto “ A tutti coloro che non ho amato “, come dire a se stessa: “ mi sono sbagliata, ho amato forse le persone meno adatte a me, l’ho fatto, ma ricordo anche di averne incontrate altre che avrei dovuto amare e che forse meritavano di essere amate, ed io mi sono persa per strada “. Ho tentato con molta pazienza, con impegno e perseveranza di entrare nel senso dell’abbinamento che l’autrice ha voluto evidenziare nel titolo, ma, lo ammetto e forse questo è il limite di questa mia lettura, di non esservi riuscito, o se l’ho intravisto, questo senso mi appare più chiaro nel sottotitolo che afferma “ di quella volta che mi sono sentita Dio nella mia pancia”. Di eros ne ho visto poco, ma il titolo lasciava intuire aperture e spazi che potevano anche incuriosire la fantasia di qualche lettore non più giovanissimo come il sottoscritto; di polis, per come la intendo io, vale a dire di rapporto con la vita e l’impegno politico e militante, in tutta onestà ne ho intravista solo in due versi di una poesia a pag. 57 che dice :
“ reclamiamo diritti di passione
con sassaiole in piazza “
E, come conseguenza di queste premesse mi sento di affermare che Claudia Zironi ha scritto un buon libro di poesie d’amore, legate inevitabilmente alla sofferenza che dall’amore stesso deriva, ma, forse per il timore di apparire troppo edulcorata ha pensato bene di accentuare con quel titolo provocatorio un aspetto che io non credo sia stato determinante per quella sofferenza, alla quale facevo cenno in apertura del discorso. Il nocciolo duro che non si deve dimenticare se si vuole penetrare con educazione e delicatezza nell’animo dell’ autrice, credo di averlo individuato in una poesia a pag. 33
Ancora oggi mi chiedo se davvero
sono viva, se quel giorno d’agosto,
a dieci anni, sono fuggita.
Se quel distinto quarantenne
ha preteso che cercassi caramelle
in una tasca vuota,
poi mi ha preso sussurrando
“vieni con me adesso” e io
davvero sono fuggita
Un avvenimento simile a tanti che si leggono spesso sui quotidiani, ma più inquietante è la domanda “ mi chiedo se io sono davvero fuggita “. Il lettore attento non può ignorarla perché l’interrogarsi dell’autrice attorno alla sua fuga da quell’incontro mi sembra che apra uno spiraglio per interpretare tutti i rapporti successivi con i rappresentanti del sesso maschile, e le conseguenti delusioni, amarezze, sconfitte avvenute per superficialità, grettezze, debolezze e meschinità rilevate in questo.
Cercherò di individuarne qualcuna, attraverso la lettura dei vari testi
a pag. 11 rilevo questi versi che sono esplicitamente eloquenti
………
e neppure so dire
delle onde tumultuose nell’illusione
che il loro placarsi non fosse
un nuovo deserto di rovi.
A pag. 13 si parla di un incontro con qualcuno che aveva avuto esperienze di droga :
……
è che doveva trovare
un potere esoterico
più forte dell’ago
a pag. 14 appare evidente come anche dopo o durante il sessantotto, certe visioni vetero maschiliste delle generazioni precedenti non fossero ancora scomparse :
….
“ mi spiegasti
che quando una donna apre le gambe
l’anima le sfugge “
a pag. 21 la figura di “maschietto” che appare è ricordata con rancore, come per sottolineare la assoluta mancanza di spessore del soggetto, la sua nullità di individuo anche se politicamente engagèe :
Sei un nameless, mindless, heartless,
un lessico immobile nella sede
di Lotta Comunista, un santo dipinto
nel tuo letto a una piazza dove
giaci immobile e ti offri senza godere
col pene eretto verso il sole
dell’avvenire, verso le porte
a cui bussi con un giornale
da vendere o da regalare. Un testimone
silenzioso del fallimento di Geova,
di Eros e di Marx. Perduto
nella negazione dell’individualità.
Una piccola vergogna senza nome
nei miei ricordi. Il solo nameless.
Invece a pag. 15 riscontriamo la scoperta ed il disappunto di capire come un altro “ maschietto “ avesse pulsioni omosessuali
Più forte dicevo, ancora!
Sapendo che era inutile
attesa, sempre vano
accendersi
fra le tue braccia.
Mi lasciai andare
allora, all’artico senso
della mente e ti persi
fra i nostri amori maschi
Le poesie citate rappresentano l’avvio di un cammino nei rapporti con l’altro sesso, e probabilmente sono la strada che molte donne della generazione dell’autrice hanno percorso, quella della scoperta della libertà sessuale e dei rapporti paritari tra i sessi dovuti alla assoluta indipendenza conseguita dalle donne attorno agli anni 70, ma nei versi della Zironi credo di aver scoperto un’altra spia che si è accesa nella mia mente durante la lettura, e si tratta di questi due versi tratti da una poesia a pag. 31.
“ questa sensazione che mi prende
di non bastare a me stessa “
La solitudine genera l’angoscia, l’angoscia conduce alla ricerca spasmodica di nuovi incontri, nella speranza di riempire quel vuoto, magari anche attraverso un nuovo innamoramento, come detto a pag. 37
Mi aspettavo cori d’angeli.
Di quando m’innamorai
serbo il ricordo delle biglie di vetro
che rotolano sul marciapiede
Tintinnio di posate d’argento
clandestine nella carrozza ristorante.
E la goccia della fontanella
Il cigolio dell’anemometro sul tetto
Mi aspettavo un largo sguardo d’oriente.
Non parole in times new roman
disposte come file di perline
ad ornamento d’interlinea
Mi aspettavo anche di danzare coi dervisci.
Mi rialzo e sorrido
al candore
oppure l’illusione si protrae anche con il matrimonio, esperienza che l’autrice liquida in due poesie, una a pag 24
“ nonostante
già si presagisse tutto
e oggi ci si guardi
negli occhi di una bimba, solamente “
e una a pag. 25
“ quale follia ?
Quel giorno
ci ha fatto dire sì, per la vita
salvo divorzio
L’nseguimento della felicità non ha fine nei versi della Zironi, è una donna e per giunta è una donna sentimentale, una che si sforza di chiamare “ Eros “ ciò che è anche “ Agape “, ma, l’ ammetterlo vorrebbe dire accettare la sconfitta, e solamente dopo aver attraversato i vari mondi dell’eros anche più scatenato e prepotente, come in questi versi di pag. 48, che non posso dire di non avere apprezzato per la loro sfacciata eloquenza
“ e che io beva
quando chiudi l’ombrello
ogni goccia di pioggia
e solamente dopo aver constatato la capacità di fraintendimento e di mentire che spesso accompagna la narrazione d’amore, come in questi versi di pag. 54
“ finiscimi perché non sopporto
questo tuo amore blando
che sfinisce di menzogne “
o dopo l’essersi resa conto a pag. 39 che la sconfitta dovuta alla rinuncia alla speranza è appena dietro l’angolo
“ ad entrambi mancano le gambe
per arrivare alla legnaia.
Bruceremo la sindone
nell’attesa “
dopo l’amarezza di questa ammissione di pag. 60, che annulla ogni precedente ricerca di erotismo fine a se stesso
“ io amo ma non devo amare
come posso spiegarlo al mio cuore ?“
l’autrice si analizza con una poesia che mi sento di dover riportare per intero, talmente è eloquente nella sua disperazione, a pag. 38 ,dal titolo
TRISTE SOLITUDINE
inabitabile
Sei una casa sfitta, piena
d’assenza di sorrisi,
delle voci e degli sguardi
che dovrebbero abitarti.
Ragnatela desolata, copri
l’angolo del vecchio sofà
Sei la villetta al mare
d’inverno, con le persiane
rotte dal salmastro,
i muri scrostati d’intonaco
cadente. Scricchioli
alla carezza del giorno
che passa, attendi
il morso delle ruspe
Sei il maniero arroccato
sulla scogliera di Gibilterra,
visitato dai turisti.
Non hai tappeti ospitali
per le notti di nebbia
né la cucina odorosa
del pranzo di famiglia
Sei nido della rondine
a settembre, destinato
all’abbandono. Servirai
da concime alla terra
dei nuovi ramoscelli
che culleranno uova
Forse ad alcuni critici magari un po’ accigliati, questi versi appariranno crepuscolari, ricchi di autocommiserazione, e forse quei critici potrebbero anche aver ragione, però io mi ritengo solamente un lettore, un ascoltatore della parole poetica, e amo quelle che chiamo confessioni sincere, come questa poesia che ho scelto a conclusione della mia lettura molto affettuosa nei confronti di un’amica come io considero la Zironi, perché, leggendola mi sono sentito attraversato da quel sentimento che va sotto il nome di empatia, senza il quale anche l’amicizia non ha significato.
Luigi Paraboschi
Bellissima chiave di lettura. Approfitto per inviare un saluto a Luigi Paraboschi
Ringrazio di cuore il caro maico Luigi per questa attenta e approfondita analisi che, come sempre le sue, cerca di arrivare all’anima dell’autore. E ringrazio Erato che ha dato spazio alle sue parole. Un caro saluto a tutti