Botticelli, Venere e Marte, 1482 – 1483
CANZONA, ( dall’Orfeo)
Udite, selve, mie dolce parole,
poi che la ninfa mia udir non vole.
La bella ninfa è sorda al mio lamento,
el son di nostra fistula non cura;
di ciò si lagna il mio cornuto armento
né vol bagnare il grifo in acqua pura,
né vol toccar la tenera verdura,
tanto del suo pastor gl’incresce e dole.
Udite, selve, mie dolce parole.
Ben si cura l’armento del pastore,
la ninfa non si cura dell’amante,
la bella ninfa che di sasso ha il core,
anzi di ferro, anzi l’ha di diamante:
ella fugge da me sempre davante
come agnella dal lupo fuggir sole.
Udite, selve, mie dolce parole.
Digli, zampogna mia, come via fugge
cogli anni insieme suo’ bellezza snella,
e digli come el tempo ne distrugge
né l’età persa mai si rinnovella;
digli che sappi usar suo forma bella
che sempre mai non son rose e viole.
Udite, selve, mie dolce parole.
Portate, venti, questi dolci versi
drento all’orecchie della ninfa mia,
dite quant’io per lei lacrime versi
e lei pregate che crudel non sia,
dite che la mia vita fugge via
e si consuma come brina al sole.
Udite, selve, mie dolce parole,
poi che la ninfa mia udir non vole.
Poliziano
CLANDESTINO IN ALTO MARE
Ti amo in modo delirante.
E ho da amarti ancora più e più fortemente.
Credo in questo cieco, pellegrino,
clandestino senso che l’amore offre alle cose
– come lenti cangianti a seconda dell’umore –
e conservo ogni parola, la risata,
il naso all’insù, al mio naso,
i tenui gemiti e i sospiri,
per questi tempi di nascondimento,
di guance sporche,
di desiderio forte della tua presenza.
Hai aperto falle di ricordi dismessi,
di cedimenti all’eterno.
Hai postdatato la mia fine.
Che Dio mi assista:
sono nel più insidioso dei miei mari, al largo,
ma la mia barca è salda.
Non tremo all’agguato delle onde,
mi protendo all’orizzonte:
la battigia dei tuoi occhi sulla chiglia
nelle vele il tuo sorriso,
nelle corde le tue gambe.
La tua anima la porto qui,
come bussola,
alla cintura.
Shar Danus
PER CERTI VERSI FRAGILE
Per certi versi fragile
– Pericolante –
Umida e stanca
e col timone rotto
Io sto
come lasciata in un cassetto
– Come un piccolo gancio
dismesso –
Per altri versi
con l’anima resisto
alle bufere
e al pressante languore
delle vene
che d’improvviso sale agli occhi
e fa tremare.
Non posso udire no,
non posso dire
definitive mots su questo amore.
Pensarti per sempre
perduto. No, non mi è dato.
Miriam Bruni
TARDI CI HA INCONTRATO LA SERA
Tardi ci ha incontrato la sera
Gravati di vita trascorsa
Di là dai pensieri più veri
Dai rovi dei nostri sentieri
Ci ha dato paesaggi di gesti
E parole in cui risiedere .
Tardi ci incontra la sera
A guardare la luna mentre fumi
O nubi placate che vestono
Trasognati silenzi d’amore.
Cristina Polli
LO CHIAMAI AMORE
Lo scorsi in un giorno di afa
traboccare dal lago scuro dei tuoi occhi.
Lo chiamai Amore.
Dopo mi accorsi che era veramente il suo nome.
Mi bastava possederne una goccia, solo una.
Che fosse pura, trasparente.
Come il rubino della tua bocca.
Una coppa vermiglia mi dissetò.
Trangugiammo, insieme a baci ardenti
una, cento, mille gocce d’amore.
Sapevano di acqua cristallina e di vino fruttato.
Profumavano di mare in tempesta e resina di pino.
Nella magia della passione
intrecciammo i nostri fluidi
con alghe marine e nastri di nuvole.
Ubriachi ci addormentammo
in mezzo a boschi di larici e betulle.
Ed il ruscello continua la sua corsa,
nell’oceano dei giorni, ancora e ancora.
Talora gonfio e d’acqua ricco.
Talora, filo minuscolo d’argento.
Ed erode incessante la sua roccia
e la trasforma in ciottoli sottili.
Noi sospinti dal vento del tempo
nel lento e svelto fluire della vita
ci ritroviamo in verdi praterie
dove cogliamo frutti d’oro e girasoli
ed in deserti infiniti dove per sopravvivere
irrighiamo la siccità col nostro amore.
Adesso in questa triste stagione
dal sapore amaro che sa di fiele.
Attingiamo dolcezza da questo prodigioso calice,
che ad ogni tuo tenero sguardo
e ad ogni carezza, d’ambrosia si fa pieno.
Serenella Menichetti
L’INCONTRO
Per vivere bene,
dobbiamo vivere insieme.
Il mio sguardo segue l’asfalto,
non cerca il tuo viso:
è troppo in alto.
Scalerò la montagna –
un raggio di cuore mi abbaglia –
poi riposeranno le labbra
e l’alba verrà ad occhi chiusi.
I pensieri non fermano il tempo,
ma rendono estraneo ogni oggetto
che sia in movimento; è già sufficiente
il viavai della mente:
c’è un caos senza spazio lì dentro.
Seduti poi fuori ad un bar,
sarà arduo evitare i tuoi occhi
che sembrano prendermi in giro,
mentre li ammiro di sbieco.
La tua smorfia è una falsa sconfitta-
(vige ancora, ma non ci ha divisi)
sorrisi a squarciare il silenzio
di un sabato pomeriggio.
Mariano Menna