Bello il titolo, bella l’ambientazione, bella la trama. Suggestioni a non finire, per prima cosa, e poi il calore umano del paese, Girifalco, colto in una dimensione direi surreale, fantastica, raccontata dal postino che diventa il notaio di un mondo segreto fatto di minimi eventi, di accadimenti quasi irrilevanti, quotidiani, ma così nuovi nella dimensione in cui sono colti che a un certo punto si ha la sensazione di entrare in un angolo appartato della storia, non so, nel paese fantastico del Pedro Paramo di Juan Rulfo o nella Macondo di Gabriel Garcia Marquez. Domenico Dara farebbe la felicità di molti antropologi: di de Martino, di Bronzino, di Lombardi Satriani, ma non cede tuttavia mai definitivamente il bandolo della matassa ai rituali; semmai ne delinea le coincidenze, già, le coincidenze che si ripetono con un loro ritmo e una loro cadenza, che danno certezze in quel cerchio magico di abitudini in cui le scene della vita si aprono e si chiudono di continuo. Dicevo che è bella la trama, originale, avvincente. Il postino di Girifalco ha preso l’abitudine di leggere e trascrivere le lettere che la gente del paese riceve. Metodicamente. Sa anche imitare la grafia degli altri e così il suo archivio si arricchisce giorno dopo giorno di un mondo infinito di notizie che gli danno la certezza di essere padrone della realtà dell’intera comunità. Non ne approfitta, la sua natura è pacifica e tranquilla e comunque egli sa tutto di tutti, come un regista che non guida le azioni, ma le conosce e finisce poi anche per suggerirle e organizzarle. Un giorno però arriva una lettera senza mittente, sigillata con ceralacca, e allora il mistero viene inseguito con accanimento e ci svela il desiderio acuto del postino di cibarsi di parole d’amore, quelle degli altri, dando l’impressione che egli viva dentro una parodia che però non ha una melodia accreditata alla spalle. Una invenzione eclatante, che di per sé comunque non sarebbe bastata a conquistare il lettore se la tenuta linguistica non fosse stata altrettanto ricca di invenzioni. Domenico Dara utilizza lingua e dialetto con un interscambio vivissimo fino al punto che l’una illumina l’altro e gli dà colore e verità di accenti. Non è un’operazione simile a quella di Gadda, io la trovo più vicina a quella di Meneghello o di Mastronardi, con qualcosa di paradossale che sfocia in atteggiamenti surreali. Non è casuale che Ernesto Ferrero abbia dichiarato: “Ho apprezzato la padronanza della trama e della scrittura. Leggendolo, ho sentito che mi cadeva addosso come una giacca ben tagliata”. A me sembra un esordio molto convincente e molto positivo, perché intravvedo il dono di Dara e la sua prensilità narrativa che sa entrare nelle pieghe delle vicende, anche in quelle più scabrose, incredibili e illogiche. Il dato di partenza mi pare di carattere realistico (stavo per dire neorealistico) ma via via le pagine si aprono distesamente a bagliori di poesia colta sul filo di ammiccamenti appena percettibili. Qualcuno potrebbe pensare anche a un romanzo corale, alla folla che, per esempio, in Un riccone torna alla terra di Leonida Repaci, ha il sopravvento sul singolo, ma il nostro postino non si confonde con nessuno, la sua storia avvolge in un lungo abbraccio tutte le altre storie che comunque sono sue senza nessun’ombra di dubbio. Dara sa anche mixare storia e invenzione, personaggi reali e personaggi inventati (rivivono due importanti poeti calabresi come Lorenzo Calogero e Michele Pane) con disinvoltura consumata, con padronanza sia scenica e sia linguistica. Il postino, depositario di tutti i segreti dell’intera comunità, con maniacale applicazione, con il suo ricopiare le lettere, con il suo interferire nei rapporti tra la gente ripercorre i palpiti di una intimità di cui risulta gestore assoluto. E così tutte le storie del paese diventano la sua storia diversificata, una storia d’amore infinito che ha al fondo una dolce e indimenticabile malinconia cecoviana. Il postino è uno, nessuno e centomila, è tutti gli amori di Girifalco. Un pazzo che si fa interprete, per conto altrui, di sentimenti e di attese.
Dante Maffia