Kahlil Gibran nasce il 6 dicembre del 1883 a Bisharri, piccolo villaggio del Libano settentrionale. Nel 1895 la famiglia si trasferisce a Boston per sottrarsi all’oppressione turca e il giovane Gibran si dedica soprattutto alla pittura. Molti gli eventi dolorosi che segnano la vita del poeta: la morte della sorella, del fratello, del padre e della madre. Nel 1908 si trasferisce a Parigi dove si iscrive all’Accademia delle Belle Arti e diventa allievo dello scultore Auguste Rodin. Rientrato negli Stati Uniti riprende gli studi d’arte a Boston ed è considerato un rilevante esponente della scuola pittorica orientale in Occidente. Ma è soprattutto come poeta e scrittore “visionario” che Gibran consegue successo e fama, col suo trasferire lo spirito “profetico” dell’Oriente in un Occidente in crisi di valori. Tra le opere ricordiamo: Il Folle (1918); Il Profeta (1923); Gli dei della terra (1931). Gibran muore a New York nel 1931.
L’AMORE
L’amore, come un corso d’acqua,
deve essere in continuo movimento,
ed è proprio per quello che tu fai con me.
Ma che cosa accade alla maggioranza delle coppie?
Credono che le acque del fiume
scorrano per sempre, e non se ne
preoccupano più. Poi arriva
l’inverno, e le acque gelano.
Solo allora comprendono che niente,
in questa vita, è assolutamente garantito.
FRAGILITA’
Vi è stato detto
che, come una catena, siete fragili
quanto il vostro anello più debole.
Questa è soltanto mezza verità.
Siete anche forti
come il vostro anello più saldo.
Misurarvi dall’azione più modesta
sarebbe come misurare la potenza dell’oceano
dalla fragilità della schiuma.
Giudicarvi dai vostri fallimenti
è come accusare le stagioni
per la loro incostanza.
E voi siete come le stagioni,
e anche se durante il vostro inverno
negate la vostra primavera,
la primavera, che in voi riposa,
sorride nel sonno e non si offende.
AMORE E MORTE
Mi dice la mia casa: “rimani, il tuo passato è qui!”
Mi dice la strada: “seguimi, il tuo futuro e qui!”
Io dico alla mia casa e alla strada:
“non ho passato, non ho futuro,
se resto c’è un andare nel mio restare,
se vado c’è un restare nel mio andare,
solo l’amore e la morte cambiano ogni cosa”.
SILENZIO
Il silenzio è pena;
ma nel silenzio
le cose prendono forma,
e noi dobbiamo aspettare e vegliare.
In noi,
nel nostro intimo segreto,
si trova l’elemento consapevole
che vede e sente
ciò che noi non vediamo nè sentiamo.
Tutte le nostre percezioni,
tutte le azioni da noi compiute,
tutto ciò che siamo oggi,
un tempo dimoravamo
in quei recessi silenziosi e coscienti,
sala del tesoro dell’anima.
Siamo
più di quel che pensiam.
Siamo più di quel che sappiamo.
Ciò che è
più di quel che pensiamo e sappiamo
vive in continuo anelito e ci accresce
mentre noi non facciamo nulla
– o così crediamo.
Ma essere coscienti
di quel che si svolge nel nostro intimo
significa contribuire al suo svolgersi.
Quando il subconscio diventa coscienza,
i semi del nostro io
immerso nell’inverno
diventano fiori,
e la vita silenziosa che è in noi
canta in tutta la sua potenza.
UNO SGUARDO
Uno sguardo che rivela
il tormento interiore
aggiunge bellezza al volto,
per quanta tragedia e pena riveli,
mentre il volto
che non esprime, nel silenzio,
misteri nascosti non è bello,
nonostante la simmetria dei lineamenti.
Il calice non attrae le labbra
se non traluce il colore del vino
attraverso la trasparenza del cristallo.
Kahlil Gibran (traduzione di Gian Piero Bona)
L’ha ribloggato su Paolo Ottaviani's Weblog.