Debitore sì, ma a credito: Daniel Pittet e la schiavitù che incarcera il futuro, di Michele Rossitti

978885666022HIG_d2e4a631f967770fde4658b85f6cd180Il perdono strappa dai circoli viziosi, spezza le coazioni a ripetere su altri ciò che hai subito, la catena della colpa e della vendetta, spezza le simmetrie dell’odio”. Hanna Arendt suggerisce l’indecenza davanti alla distruzione con l’oscenità del quesito “Perdoni l’assassino di tua figlia?”. Ogni singola azione, speculata dal gossip, implica rischi e poi matura scelte difficili in una superstite della Shoah o di un lutto familiare. Altrettanto utile, però, è far i conti con la ghigliottina perché pulirla a spugnate rende invalidi pericolosi. Il letargo degli ectoplasmi somiglia a un orologio sgonfio e flaccido che rintocca l’assurdità della distanza cronologica. Il salotto di sfondo è riconoscibile nei fiori di proforma e nelle scuse infami dei Lotito, rifiutate, a ragione, dagli Ebrei di Roma; ombelicale può dirsi invece il cancro del perbenismo che, pubblico e privato, fa da quadrante alle lancette. Coperta dagli sponsor a pioggia nonché dai politici, la curva estrema applica l’adesivo di Anne Frank con la maglia giallorossa e il fischio d’inizio rimonta negli abissi della demenza per espanderla sui goal ai rigori, intontita dalla canzoncina Adolf Hitler is my friend. Se il Calcio ‘oppio dei cretini’ incenerisce l’adolescenza con i suoi ideali per un domani migliore e si sente un padreterno ariano, Je suis Anne Frank!
La scia del trauma “ego te absolvo” vaga caparbia in “La perdono, Padre” di Daniel Pittet edito da Piemme. Nella prefazione, dopo le scuse, Bergoglio manifesta entusiasmo per chi ha il coraggio di rivedere quarant’anni più tardi il suo aguzzino e offrirgli perdono. L’infanzia di Daniel è dispersa tra affidi e istituti quando un prete, tal Joel Allaz lo violenta dall’età di nove anni fino ai tredici. L’esperienza porta la vittima a ansie e depressioni fino alla meningite ma nonostante le sevizie Daniel fortifica la fede cristiana e da adulto si sposa, sebbene lo spettro del suicidio continui a insidiarlo da genitore. Un percorso porta Daniel a denunciare il pedofilo, in sostegno agli abusati ancora incogniti. Ottiene poi l’interdizione allo stato laicale, con risvolti civili, verso l’ex chierico che scorda l’invito dei versetti a mettersi una macina al collo, senza emulare Giuda dal cappio che, coerente, non può togliere il bacio su Cristo né vuole rimborsata la tangente di trenta danari.
Il 12 novembre 2016, Daniel narra di esser andato incontro al suo carnefice e, “senza riflettere”, avergli teso la mano. Scopre il suo aguzzino persona fragile perché grasso e poco amato e sostiene che l’ex prete è un debole che ha stuprato per crearsi relazioni. Perdonare per Daniel Pittet giova al danno, anzi rende liberi, mette in piedi e fa smettere la dipendenza da chi ti ha costretto in ginocchio a soddisfare le sue maialate, con ossequi ai suini cultori dell’igiene che in porcilaia fanno i fanghi per allontanare i tafani. Ostinarsi nel lassismo è mossa egoista, manica larga per prendere alla lettera il titolo di Pittet che somma vittima e boia a livello psicopatologico. Il caos regna in estratti tipo “Io sono un mostro; sono dissociato e schizofrenico, il mostro si è mangiato l’umano laddove l’appetito di compiere abusi si barcamena nel pieno delle facoltà mentali e fisiche, perpetrate da Joel, che sa quel che compie mentre cancella un’intera esistenza. Joel- riabilitarlo “Padre” è aberrazione in copertina – confida a Daniel che la scintilla gli è scoppiata da bambino, quand’era incapace di relazionarsi con il mondo, stesso alibi per le molestie di Kevin Spacey, dall’infanzia torbida con papà picchiatore e filonazista. Il dialogo di Joel Allaz manovra con tattica sia le responsabilità proprie sia le omertà diocesane e del suo ordine religioso. Definirsi a colloquio un Giuda che ha sparso danni irreparabili ma che ancora ha fiducia e spera innesca il paradosso della culpa felix, fatta entrare a spintoni fra l’onnipotenza caritatevole e il via vai della compassione, approssimata sul chi è senza peccato scagli la prima pietra. Nel faccia a faccia, la parte lesa abbraccia una statua di ghiaccio che non teme castighi né recede. La pace di Daniel scende impavida sopra picchi vacillanti ma si tradisce su due piedi perché la sedia di Joel Allaz non regge il confronto con il pentimento del buon ladrone. L’irriducibilità filma un reality dove il sordido è depistato dentro le peripezie della conservazione della fede in mezzo agli abusi. Nel testo, il corridoio antiumanitario delle sevizie matura la crescita, imbianca l’odio e in sintesi rimette la vergogna percepita per aver concorso alle frustrazioni di Allaz nella ricandidatura difronte a un “dio” (che alla fine però siamo noi). Secondo Daniel, lo stupro subìto da un vecchio Oliver Twist che – oh, poveretto! – da bimbo era pieno zeppo di scalogna emanciperebbe nella società.
La perdono, Padre” insabbia il ‘vero seme’ del credo perché la massima evangelica, guarda caso ignorata nel libro, ricorda che non solo il pane nutre ma anche quanto esce dalla bocca di Dio. In una formula, il “liberaci dal male” schiaccia la pedofilia nel clero e conclude la parabola di un Cristo più vicino alle sofferenze terrene, “ateo” che vuole il bene quaggiù e non altrove. Quel Gesù abbandonato in croce vomita nel calice amaro una lancia uscita dalle labbra del suo costato rosse di giustizia e antepone ogni dignità umana ai cieli, a favore di cristiani senza chiese e socialisti senza partiti.
Fuori scaffale, il topo di biblioteca sfidi dunque Pittet all’O.K. Corrall. Scovata la buona fede nella metafora, l’ingresso -in sciopero della fame- di un cammello attraverso la cruna dell’ago linci dentro le gobbe l’orco Joel e il calvario dei crimini sessuali cuciti addosso come cicatrizzanti.

Michele Rossitti

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