La scrittura presenta un rapporto paradossale con la morte, se già Platone la accusava di essere disanimata e di distruggere la memoria, come acutamente ci fa riflettere Ong, riferendo citazioni come quella della Seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi (3,6): «La lettera uccide, mentre lo spirito dà vita». Emozionante, ancora, quando richiama la nostra attenzione sull’usanza ancora largamente diffusa di comprimere fiori freschi tra le pagine dei libri, soprattutto per ricordare qualche cosa o momento particolarmente significativo, gialli boccioli appassiti tra pagina e pagina, dove il fiore secco, che un tempo era vivo, è l’equivalente psichico del testo verbale. Poi dice: «Il paradosso consiste nel fatto che lo stato di morte del libro, la sua rimozione dal mondo umano vivente, la sua rigida fissità visiva, ne assicurano la durata nel tempo e la possibilità di risorgere in illimitati contesti viventi, grazie a un numero potenzialmente infinito di lettori». Al contrario del linguaggio naturale, orale, la scrittura è del tutto artificiale, è una «tecnologia interiorizzata», come la definisce Ong. Pur derivando profondamente dal mondo semitico, l’alfabeto vocalico greco aveva già abbandonato quella realtà, poiché tale scrittura era ancora impregnata di una visione non testuale della vita dell’uomo, mentre quella ellenica trattava il suono in maniera più astratta. L’alfabeto greco, una semplificazione, secondo Graves, del sillabario cretese, trasformato in alfabeto sacro e poi consegnato ai Fenici e da qui agli Elleni, che introdussero le vocali, era democratico, poiché era facile per tutti impararlo, e internazionalista, potendo essere usato anche per le lingue straniere. Come dice Ong:
il successo della lingua greca nell’analisi astratta dell’elusivo mondo del suono e nel trasporto in equivalenti visivi rese in seguito possibile la nascita del pensiero analitico. La struttura della lingua greca, il suo non prevedere, come il semitico, l’omissione delle vocali, nella scrittura, si rivelò di enorme vantaggio intellettuale.
Di sicuro, la scrittura, come si è visto, ai suoi inizi era considerata uno strumento di potere magico e segreto che dotava i suoi funzionari di uno status di assoluto rilievo sociale, nonché di grande carisma. Ancora Ong ci conduce negli affascinanti sentieri di alcune parole, alla luce di una singolare provenienza come la parola anglosassone
grammarye, grammatica, termine inglese antico per erudizione libresca, che venne ad assumere il significato di scienza magica e occulta, emerso poi nell’inglese moderno attraverso una forma dialettale scozzese, glamor, che significa il potere di operare incantesimi, da cui l’odierno glamour. Una ragazza incantevole è in realtà una ragazza grammaticale.
Tornando alla riflessione sulla scrittura, non vi è dubbio che essa comportasse, già dall’inizio, una condizione di solitudine, ignota alla parola dell’oralità, che presupponeva sempre uno o più interlocutori, mancando la presenza fisica di un destinatario che poteva essere solo ipotizzato. Anzi, la condizione ideale del discorso parlato è proprio quella dialogica, come si evince dalla scarsa presenza di personaggi, in media, nella tragedia greca, che appunto era destinata alla rappresentazione, nella quale si riproduceva la frontalità di una comunicazione tra pochi. La folla, invece, parla all’unisono nei cori, appunto a una sola voce. Inoltre, nel testo scritto, le parole non sono legate alle loro qualità foniche e non potranno mai suscitare le stesse emozioni che provengono da una loro pronuncia, più o meno appassionata. Il suo sviluppo positivo sarà da ricercarsi nella separazione tra soggetto e oggetto della conoscenza, che inaugura così quell’oggettività impensabile nella dimensione orale e questo avvenne in modo particolare in Grecia, in cui il pensiero, una volta che la scrittura si sganciò dalle istanze catalogative di tipo pratico, venne creandosi per opposizioni e antinomie, dando così l’impronta alla filosofia occidentale, mentre quelle orientali tendono al superamento dei contrasti e delle differenziazioni. In conclusione, se l’avvento della scrittura (e poi della stampa) ha messo in ombra, nell’uomo, quel sentimento di totalità e di condivisione amichevole, che caratterizza le culture popolari, ci rimane pur sempre la possibilità di riattualizzare la valenza comunicativo-verbale di un testo, affidandolo alla voce e all’interpretazione, operazione più che mai necessaria nei confronti della poesia ellenica, per riportarla davvero in vita.
Gabriella Cinti
L’ha ribloggato su Paolo Ottaviani's Weblog.