Il canto di Saffo – Musicalità e pensiero mitico dei lirici greci: Mito e logos, di Gabriella Cinti

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Le valenze magiche della parola poetica ellenica, che contribuiscono un modo determinante a renderla così carica di suggestione e fascinazione, non sono restituibili se non nella vocalità, nell’appropriazione corporea di quella lingua che, oggi più che mai, dobbiamo far risuonare per comprenderne la portata e avvicinarci a essa, in-corporandone la sua vita. Già Levi- Strauss diceva che noi «lettori di libri e non più uditori di aedi, rischiamo di scordare che la poesia è azione sugli uomini». E si tratta di un particolare tipo di azione. Infatti, la dinamica antropologica sottesa alle cerimonie coribantiche (lo stesso termine, la latina cerimonia ci riporta suggestivamente a un possibile arcaico etimo accadico, qerû: «invitare il popolo o gli dei», e ummanu, «popolo», da cui il nostro “uomo”, che potrebbe venire da tanto lontano…), come a quelle bacchiche, era di una catarsi da produrre attraverso un procedimento omeopatico, del tutto analogo alla cura della “manía” nelle popolazioni africane. È indubbia, quest’unità di origine tra “manía” e arte, come il dato che il patrimonio mitologico è universale e ubiquitario, pur essendosi diversamente evoluto nelle varie civiltà e nel mondo greco, dove è confluito, in particolar modo in quello poetico, diventando vero e proprio simbolo. Altrove, nel tempo e nello spazio, rimarrà nella forma degradata della superstizione, o interagendo all’interno della spiritualità. D’altro canto, il mito è una proiezione archetipale dell’esperienza dell’io sul mondo esterno, attribuendo potere alle cose e riflettendo sulla volta celeste, aspetti specificamente umani o terreni, come la morte. Ciò è particolarmente evidente nel catasterismo; penso a uno tra i più noti o comunque tra i più fascinosi, cioè alla trasformazione di Arianna in Corona borealis, a opera di Dioniso, nella costellazione lucente come il fulgido diadema che egli le aveva donato o che lei aveva avuto in dono da Efesto o che il dio aveva lanciato precedentemente in cielo, immortalando così il suo serto. Dunque il catasterismo consisteva nel proiettare esseri viventi negli astri, fenomeno assai vivo nel mondo greco-romano e rimasto nel lessico astronomico contemporaneo, nella denominazione di molte costellazioni, segno di una visione cosmogonica molto più emozionante del nostro triste presente, che esplora lo spazio con strumenti tecnologici, perché ne ha perso il contatto empatico, e l’astralità è spesso degradata ai suoi riflessi strettamente “astrologici”, superficiali e fittizi. Vi è una dimensione universale dei miti, che poi si sono evoluti con notevole affinità nell’area mediterranea, ed ellenica in particolare, anche se in questa, nella fase pre-greca, dominavano soprattutto divinità femminili, che ci portano oltre la civiltà pre-minoica, indietro nel tempo, fino alla Ebla protosiriana delle grandi dee del III millennio a.C., di cui le regali figure femminili ritrovate recentemente dagli scavi della Missione dell’Università La Sapienza di Roma (al quarantaquattresimo anno di scavi!), costituiscono una affascinante e fresca testimonianza. Ora, la primigenia abissalità dei significati delle cerimonie rituali, si è conservata, secondo me, molto più nella lingua ellenica, depositaria peraltro di ascendenze semitiche antichissime, rintracciabili nelle comune radici primitive delle parole, nucleo atomico degli universali linguistici, cui si è accennato precedentemente, che riescono a imprigionare il mito all’interno del logos, rendendolo ancora più denso e carico, soprattutto nell’esternazione fonica della lingua, specie di quella poetica. Valga il già citato esempio del títanos (τιτανος), «gesso, calce», che ricopre il viso dei Titani rapitori di Dioniso e di quelli sciamani tribali. La lingua ellenica ha germinato il mito nel lessico, mentre il folklore lo tramanda, ma insieme lo disperde, perché le parole sono documenti fossili che fissano il passato in un guscio chiuso e protetto, mentre usanze, danze e azioni rituali si evolvono, talvolta perdendo, o mutando radicalmente, le connotazioni originarie.

Gabriella Cinti

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