Figura nobile di giovane innamorato della cultura, della filosofia e dell’arte, fu allievo di Francesco De Sanctis, che lo ebbe fra gli alunni più cari, vedendo in lui splendere la luce del genio e intravedendo il rinnovatore della cultura meridionale e forse anche italiana. Era nato a Venosa il 31 gennaio 1826. Come tutti i giovani della provincia meridionale, dopo essere passato per il seminario di Molfetta, da lui vissuto “come una prigione”, nel 1844 si diresse a Napoli per costruire il suo avvenire. Là visse “libero, liberissimo”. La scuola del De Sanctis lo aprì ai valori civili e patriottici, sicché, essendo sceso con i suoi compagni e il maestro a lottare contro il re Ferdinando II, quando costui, nel maggio del 1848, ritirò la Costituzione, fatto prigioniero, fu fucilato il 15 di quel mese dai giannizzeri svizzeri. Assisteva alla sua morte il padre, il dottor Nicola La Vista, accorso anche lui a Napoli, a combattere accanto al figlio.
Malato d’infinito e d’amore, nel senso mistico-filosofico del termine, Luigi La Vista ebbe tra i suoi autori preferiti Platone e il Goethe di Faust, Lamartine e Byron, soprattutto Pascal e Vauvenargues. “Conosco – scrisse una volta – un autore il quale, svelando eloquentemente la bellezza dell’uomo, ne rappresenta la grandezza colla sublime malinconia. Questo autore è Pascal, quasi simile a lui è Vauvenargues”.
Su questa strada, fatta tutta di raccoglimento e meditazione, doveva incontrarsi con Leopardi. “Leopardi – scrisse – è il catechismo, è il libro mio, è la bibbia degl’infelici”. Come Leopardi, in particolare, visse il senso dell’attesa e del sospiro di un mondo diverso e di una impossibile felicità. Proiettato verso il bisogno di immergersi negli spazi infiniti, per coglierne il soffio e la ragione, ebbe forte e angoscioso il senso dell’incompiuto e del mistero. “Mi sento oscuro – si legge nel suo Diario -, ma non nato per l’oscurità”. Quasi presago di una morte immatura, che gli avrebbe tolto la possibilità di compiere per intero il suo cammino, scrisse: “Della mia malattia sono morti molti giovani, spariti prima di essersi rivelati”.
Fu, dunque, figura romantica, di una intensità e finezza sconosciuta al romanticismo meridionale, piuttosto legato a forme di cattolicesimo giobertiano e ad una ispirazione storico-realistica di tipo manzoniano. Il De Sanctis stesso, in tal senso, ne era una prova. La Vista, invece, sia in virtù della sua particolare sensibilità di orfano di madre, morta nel 1832, quand’egli aveva solo sei anni, e quindi sempre presente nei sogni e nelle malinconie della sua infanzia e della sua adolescenza, sia per i complessi autori con cui si incontrò, appartiene piuttosto al romanticismo europeo, con implicanze che si direbbero già predecadenti. Come suole accadere, a creare intorno a lui un alone di mistero e di fascino, molto contribuì la morte in giovane età, avvenuta in modo tragico, quand’egli aveva appena ventidue anni. Molto giovò, naturalmente, l’immagine del martire infelice; ma non meno fascino emanano i suoi scritti, rimasti allo stato di frammenti, che lasciano solo supporre la grandezza cui era probabilmente votato.
Alcuni suoi quaderni sarebbero stati pubblicati postumi, a cura di Pasquale Villari (Memorie e scritti, Firenze, Le Monnier, 1863); nel 1987, a cura di Antonio Vaccaro, sarebbe stato pubblicato il Diario (Venosa, Osanna). Si conoscono anche due racconti: Angelo e Abele, oltre che non poche liriche di occasione, tutte appartenenti alla preistoria di una produzione di più alto respiro, che non ci fu. Tra i suoi progetti rientrava una storia della letteratura italiana che, giusta gli insegnamenti del maestro De Sanctis, avrebbe dovuto avere un impianto storico-sociale. Ancor più interessane e consona al suo modo di sentire era, però, l’altro progetto, cui allude l’11 maggio 1848: una serie di martiri politici meridionali, a cominciare dal 1799. “Noi – scrisse nel suo Diario – raccoglieremo religiosamente tutto che di loro le tradizioni e i documenti tramandarono; […] fatti e pensieri di ciascuno cercheremo di armonizzare per modo che in esso lo scrittore spieghi il cittadino e il cittadino non arrossisca dello scrittore. Ancora ci studieremo di riannodare la biografia alla storia, l’uomo al tempo”. La Vista delineava così, attraverso gli altri, il proprio percorso etico-civile. Su quel percorso, quattro giorni dopo, avrebbe trovato la morte.
Giovanni Caserta