Martino Migli – Gabriele Sanzini – Francesco Taranto, “Cervellini in fuga”, Milano, Mondadori – 2015, letto da Dante Maffia

9788891804693-cervellini-in-fuga_copertina_piatta_foCon il passare del tempo cambiano i significati delle parole e cambiano anche le parole per designare una cosa che prima era chiamata diversamente. L’emigrazione, per esempio, adesso si chiama fuga ed è facile sentire, quasi giornalmente ai telegiornali e ai dibattiti televisivi, che si tratta di cervelli in fuga. Ma sappiamo che accanto agli scienziati, ai fisici, ai chimici, agli ingegneri elettronici, dall’Italia sta andando via anche gente semplice, meccanici, panettieri, muratori, infermieri. Un fenomeno in crescita, pare, che ha sfaccettature diverse e che ancora i sociologi non sono riusciti a definire nella sua portata. Ma dell’argomento si sono occupati subito, anticipando le analisi sussiegose e seriose degli studiosi, tre giovani milanesi, Martino Migli, Gabriele Sanzini e Francesco Taranto, tutti e tre nati nel 1991 che, fin dai banchi del Liceo, cominciarono a collaborare a Radio Popolare Milano. Tre giovanotti disinvolti, spigliati, con la battuta pronta, con una carica di ironia e di autoironia molto forte. Hanno intervistato centinaia di quelli che loro hanno chiamato Cervellini in fuga, in realtà parafrasando giocosamente il fenomeno, perché in effetti i tre giovanotti hanno rivolto la loro attenzione a gente semplice che, per una ragione o un’altra, è andata via. E le ragioni sono emerse tutte: inquietudine, mancanza di lavoro, spirito d’avventura, impossibilità di inserimento in Italia, illusione di poter avere una nuova dignità e una nuova attenzione sociale… E così RTL 102,5, dove i tre moschettieri tengono un programma chiamato proprio “Cervellini in fuga”, si è gremito di voci che hanno raccontato, da terre lontane, tanti piccoli romanzi affascinanti e coinvolgenti, irrilevanti, perfino stupidi e contraddittori. Tra tutti questi romanzi, Martino, Gabriele e Francesco ne hanno scelto diciotto per un libro, intitolato proprio Cervellini in fuga. Evidente che la scelta è stata fatta sia per l’originalità del vissuto che ne viene fuori e sia per contemperare geograficamente i luoghi di approdo e il risultato è direi intrigante e affascinante, perché le pagine si leggono con piacere enorme, in ognuna spesso vedendo noi stessi alle prese con simili problematiche. Intanto viene fuori uno spaccato che non so definire se più pesante e angosciante di quello che veniva fuori negli anni cinquanta quando dal porto di Napoli e di Genova partivano i bastimenti carichi di gente “che piangeva a bordo”, e il paragone diventa insistente per cercare di capire le diversità e le difformità tra un’’epoca e l’altra, le connotazioni di allora e di oggi. E’ certo che chiunque lascia le proprie radici comunque è un uomo spaccato in due, anche quando si realizza appieno nella nuova terra. Un aneddoto: all’aeroporto di Buenos Aires, dopo una visita alla Fiera del Libro, fui accompagnato da un gruppo di gente originaria del mio paese natale. Salendo la scaletta dell’aereo scherzosamente dissi a una signora, che al paese era stata amica di mia madre, che stava in prima fila sventolando un fazzoletto in segno di saluto, “Dai, Gianna, sali anche tu e vieni con me in Italia”. Ricordo che scoppiò a piangere, che fece un passo avanti, e che disse: “Sì, vengo… no, no, è meglio non venire”. La condizione dei “cervellini in fuga” non è delle più felici, anche se economicamente si sentono realizzati; le diciotto storie del libro, per un verso o per un altro, hanno qualcosa che turba, perché, come scrive Rudy Zerbi nella folgorante Prefazione (la più sintetica in assoluto della storia delle prefazioni), i cervellini “continuano ad amare e a rapportarsi all’Italia”. Il libro, in maniera indiretta e perciò molto più efficacemente, mette il dito sulla piaga in atto e lo sottolineano Gino § Michele: “… andare all’estero a cercare fortuna è comunque un grande sacrificio, richiede molta autodisciplina, ma anche fantasia, coraggio, pazienza, creatività”. Io mi domando, se fantasia, coraggio, pazienza e creatività fossero messi in atto in Italia ne verrebbero fuori dei frutti? Non so, avrebbe funzionato a Roma o a Milano  fare “la facilatrice di vita” per Elena che la fa a Parigi? Michele e Flavia, se avessero messo lo stesso impegno per realizzare a Roma il loro Bed§Breakfast avrebbero ottenuto dei risultati? Faccio mia la proposta di Rudy Zerbi, “non si potrebbe farli ritornare? In cambio avrei pronta una lista di nomi da mandare al posto loro”, non so D’Alema, Bertinotti ch’è in sonno come un massone, Rutelli, Formigoni, Alemanno, Maurizio Costanzo, Maria De Filippi…

Troppo lungo l’elenco, ma i mafiosi e gli ‘ndranghetisti no, creerebbero subito altre Italie simili a quella che abbiamo e dopo dove potrebbero fuggire i Cervellini, all’occorrenza?

Dante Maffia

 

 

 

 

 

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