(Caffè a Ventimiglia)
“The sea, the snotgreen sea, the scrotumtightening sea.”
(Joyce, Ulysses)
Il mare oggi è un immenso floreale stomaco.
Le scaglie d’orizzonte ruminano gambi
relegando al gelo la digestione della stiva.
Si respira sudore freddo, sale sulle nuche
rattrappite, aliti d’argilla. Un sonno
rotto dai singulti. Un salmodiare luteo di scirocco.
Quante volte il cucchiaino trasparente
gira, rigira la breve pausa dal dolore,
centilitri indigenti di caffè industriale.
“Credo sia inevitabile” pensavi
ad alta voce “orinare intendo, e defecare
con pudore tra gli scogli, “. Io guardavo
il mare verde, gli dei sopra l’argento,
Ulisse l’Africano e le sirene, la sirenetta
in continente delle fiabe , i profetini aguzzi
di una gelida pietà cattolica.
II
Una parete gonfia. Tende allagate.
Piccola barca il ventre accarezzato a sera.
Per il ritorno ai naviganti basta lo stupore.
Ma non è vita rimanere aperti alle finestre,
sempre via. Le quattro mani strette senza sangue.
III
Atom Heart Mother
Contriving balance to contrive a whole,
The vital, the never-failing genius,
Fulfilling his meditations, great and small.
(W.Stevens)
Come le biglie di un bambino
scivolano dalle dita le aurore dell’autunno.
Il nodo della sfera non si scioglie.
Avvolto nella nebbia rotola sul campo
desolato, fino alla macchina di ruggine.
Ferro, vapore che trebbiava il grano.
Il tempo della semina è finito.
Fugge una lepre nel profilo scuro
di una nube. Chissà se ancora esistono
le vacche. Se dentro il muro della terra
batte un cuore atomico.
IV
Passepartout
Ora la casa in costruzione aspetta tende e quadri alle pareti
o forse solo un corpo che respiri al centro della stanza meno
umida. Ora il corpo che respira guarda la casa vuota, sente
la pioggia entrare, il tempo, l’aria, il fumo nel suo
fiato, il suo lasciapassare.
V
La radio del primissimo mattino
la madre che l’accende,
cantando Mina, interpretando
la sua voce appena sveglia.
Pochi finali tornano, il nitore
di una punta che ha segnato
il troppo bene, il male inutile
cullato nell’infanzia.
La rete elettrica dei nervi
i capillari vivi sulla celluloide
quando distruggevi il suo disegno,
staccavi figurine, rovinavi
il brio dell’opera.
Nel terzo tempo
spieghi ai muri il poco male,
il bene inutile passato tra le case
i grattacieli, luci intermittenti.
A volte tornano le sue parole,
note più grandi del primissimo mattino,
“Ricordati – dicevano – di amare”.
“Ricordati di respirare”.
VI
(Bisogna credere al riposo
abituare il corpo all’infinito
come il cielo si stende
per il passo degli angeli)
Dopo ogni annuncio
più ancora del dolore
guardiamo
i movimenti irriducibili
dei vivi, i luoghi
degli insetti sempre aperti
a luce, polvere, casi improvvisi
senza ombre, somiglianze
di un ennesimo presente.
VII
Falk
(Der Himmel über Berlin)
(Le vie en rose)
(In weiter Ferne, so nah!)
Calchi nei cunicoli tra fetore, umido, architravi.
Calcoli d’ossa, ombre. Dichiari proprio del tuo
nome poco più di un chiodo, una postura classica.
Séguiti fuori tra palazzi e cibi freddi:
un mandala di bambini cantilena storie antiche.
È inevitabile sostare al chiosco, credere
che saranno i loro passi a scrivere le vie.
Le armature dell’affetto riguardano la gioia,
la divisione del futuro: il sorridente
mezzodio invita col bicchiere in luce, pieno d’aria.
Sempre alla portata le sue ali. L’indi
visibile lontano così vicino da non sembrare tale.
VIII
Tiptologie
Finora non ho imparato a camminare che con le stampelle
(A. Rimbaud)
Perfezionando il ritmo del mio passo
capisco il sottosuolo,
sento la prosodia dell’invisibile
quelli che mi rispondono
nel ticchettio, nel nome del mio nome.
E dialoghiamo opposti alla pellicola
come in un vecchio nastro che si inceppa
con la matita che riporta a capo
il verso e il suo contrario, il doppio senso,
il fragile registro.
IX
The Other Side of Heaven
L’ufficio grigio dell’Inferno e qualche sconcia litografia.
L’ingresso rumoroso della polvere rianima le statue
nelle stanze del museo . L’impermeabile più bianco,
scelto in un attimo di foga, folgora la sera e subito confonde
sulla soglia. Poi, relegato all’atmosfera, tace, adegua il passo
alle folate. Egli accarezza prima il mogano, la consistenza,
e ai piedi della montagna sente le radici, la Provenza,
il suolo e il colmo dello sguardo. L’uomo di ghiaccio senza plettro
e senza verga tradisce la sua essenza, indica la viola
in campo aperto, il prisma rosa, elettrico. Ascendere
coi Serafini quando è ora di cancellare con la luce
l’oscurità visibile, i suoi malevoli strumenti, l’ultima radiografia
dell’orologio. Qui ogni triangolo dimentica lo sfondo, come le vele
da un’altezza pungono e non pungono. Alle sirene
e ai cori d’Ognissanti si rivelano.
X
Principio
Quando l’aria era lasciata al polline
chiedevamo agli alberi permesso.
Fosse bello o cattivo tempo
i passeri beccavano
ogni briciola di strada.
Così poteva sollevarci,
come un lenzuolo su un divano
abbandonato, il volo di un uccello
inconsapevole del suo principio,
l’ala di una casa bisognosa
delle prime cure.
XI
Little boy
(hiroshima mon amour)
Sesso davanti al bar del Paradiso
la stele implode nella bellezza
di un frappè con panna
gli astanti incrociano le dita
sanno che non è giornata,
fama desolata ai fianchi
delle particelle, piaghe da antico
testamento. Mon Amour, my little boy
(in italiano, malamente: pargoletto mio)
mi guardi da un futuro spoglio, devitalizzato.
Evapori sulla moria dei pescatori
come un lenzuolo sollevato sulla pelle
sul dorso spigoloso delle sogliole, del piombo.
XII
Anteo (Ground Zero)
Le gigantografie di un viaggio ultraterreno,
le polveri d’acciaio nelle intercapedini: quel vuoto.
Qualcuno tra la folla ama con forza gli atomi di tale
perfezione, il nucleo dei ricordi – il ventre accanto
alla sua origine gemella – i fiumi, gli ornamenti
in pelle, la filosofia dell’oro.
Qualcuno alla follia sostituisce particelle,
la fisionomia che al vetro è meno di un riverbero,
la confusa creta della lingua, torri nel bronzo della terra.
Salva istantanee alle mattine nude dell’inverno, stese
come animali pigri della casa. Smisurati. Suoi.
XIII
A Song for Europe
Europa di binari, di metallo
erba canina sui ciglioni
barbe di giorni arroventate
alla canicola di fine estate.
Esodo, lo stuolo ovunque, dietro
gli hangar, sotto gli elicotteri:
neppure la malinconia del vento,
e dei bambini sottobraccio
il pane sulla tavola, le briciole,
il tedio della guerra, tiepida guerra
dei murati fuori dal confine,
terra sconsacrata dentro le cartine.
Stefano Della Tommasina
Stefano Della Tommasina (Massa, 1962), ha pubblicato alcuni testi online sul sito Poeti e Poetastri nella rubrica Per il Verso Giusto e in volume sulle antologie Verba Agrestia, Il Segreto delle Fragole e L’Amore ai Tempi della Collera, tutte edite da Lietocolle. Quest’anno ha vinto il Concorso Opera Primadi Poesia2punto0 con la silloge intitolata Museo Bianco.