E’ da rivendicare alla cultura e alla letteratura lucana anche il nome di Luigi Settembrini. Delle sue ascendenze lucane, del resto, egli non si dimenticò mai. Dando inizio alle Ricordanze della sua vita, con una punta di orgoglio per la nobiltà morale e intellettuale dei suoi antenati, ebbe a ricordare che “suo padre si chiamava Raffaele Settembrini, ed era avvocato, come suo nonno Vincenzo ed altri vecchi di casa sua. Suo nonno era di Bollita, paesello di Basilicata sul mare Ionio (oggi detto Nova Siri), e giovanetto venne in Napoli a studiare, e qui si fermò, e ci prese tre mogli che gli diedero 24 figliuoli. Sua madre, Francesca Vitale, era anch’ella figliuola d’un avvocato”, anch’essa di Nova Siri. Morendo, i nonni vollero essere sepolti nel paesello natale. Nobile figura morale era stato anche suo padre, che partecipò attivamente alla rivoluzione del 1799 ed insegnò al figlio coerenza con le proprie idee, lealtà e coraggio. Non è di poco conto il fatto che, sposandosi, egli sia andato a cercarsi la donna nel paesello originario della famiglia. D’altro canto, se lucana fu la matrice familiare e ideale di Settembrini, lucani furono anche i suoi due allievi più illustri, che molto dei suoi insegnamenti avrebbero poi consegnato alla propria regione, tra Ottocento e Novecento. Si vuol dire di Giustino Fortunato e Francesco Torraca, che sempre lo citarono, associandolo, per l’importanza che ebbe nella loro formazione, a Francesco De Sanctis. E’ anche notevole, infine, che il Comune di Nova Siri non mancò di rinsaldare e rinnovare i propri legami con quella famiglia. Con delibera del 1871, in data 31 maggio, esso concesse la cittadinanza onoraria a Luigi, già vecchio; la stessa cosa, nella stessa data e con lo stesso atto deliberativo, fece per il fratello di Luigi, Giuseppe, e per il figlio di Luigi, Raffaele, capitano di vascello, “speranza della patria”, che aveva voluto visitare di persona il luogo da cui era partito il bisnonno. Né mancano passaggi e riferimenti che indicano come Luigi sia stato sempre attento alle vicende, anche di piccoli uomini, che si erano svolti o si svolgevano in paesi lucani, quali Tricarico, Ferrandina, Albano, Pietrapertosa, ecc. Era nato a Napoli il 17 aprile 1813. Dopo aver avuto la sua prima formazione in famiglia, nel frattempo trasferitasi a Caserta, entrò nel Collegio di Maddaloni. Tornato in famiglia nel 1825 alla morte della madre, nel 1830, morto il padre, si trasferì in casa del nonno materno, a Santa Maria di Capua. Frequentò l’Università a Napoli; ma soprattutto frequentò la scuola di Basilio Puoti, ammirandone la grande cultura e il disinteressato impegno a favore della gioventù. A seguito di un esame-concorso, ottenne contemporaneamente la laurea e l’insegnamento presso il Liceo classico di Catanzaro, dove si recò nel novembre 1835, contento perché in quella città risiedevano i fratelli Giuseppe e Giovanni. Avendo conosciuto già a Napoli il calabrese Benedetto Musolino e avendo fondato con lui una setta segreta, detta “Giovane Italia”, ad imitazione di quella del Mazzini, l’8 maggio 1839 fu arrestato e tradotto a Napoli, ove scontò tre anni di carcere, dal 1839 al 1842. Indòmito, nel 1847 scriveva La protesta del popolo delle due Sicilie. Per non incorrere in un nuovo arresto, fuggì a Malta, donde ritornò, pochi mesi dopo, essendo stata emanata la Costituzione. Scoppiata la reazione, fu arrestato una seconda volta e condannato a morte, per aver aderito alla setta “Unità Italiana”. La condanna a morte fu commutata in ergastolo. Scontò dieci anni di carcere, dal 1849 al 1859, quando il governo napoletano, sotto la pressione internazionale, decise di mandare in Argentina gli ergastolani politici. La nave che trasportava Luigi Settembrini, fu bloccata a Cadice dal figlio Raffaele. Luigi riparò a Londra. Quindi, dopo la caduta dei Borboni, nel 1860, tornò a Napoli, ove, nel 1861, ebbe l’insegnamento universitario di letteratura italiana. Strettosi in grande amicizia con Francesco De Sanctis, fondò l’Associazione Unitaria Costituzionale. Nel 1873 ebbe la nomina a senatore del regno; morì a Napoli il 4 novembre 1876. Nessun intellettuale meridionale, forse, in quegli anni, ebbe come il Settembrini la forza di adeguare sempre l’azione al pensiero, passando attraverso mille traversie e sofferenze e coinvolgendo in esse la stessa famiglia. Ma non disarmò. Aveva un alto senso del dovere, che non tradì mai, come mai si fece prendere dalla vanità e dalla ambizione. In questo fu lucano. Ebbe il coraggio di rinunziare alla carica di direttore dei Lavori Pubblici, con la motivazione che ognuno deve fare solo quello che sa fare. Di una grande modestia nei rapporti umani, fu però intollerante verso i compromessi e gli accomodamenti. Avversava le idee altrui, quando le riteneva sbagliate, con ogni foga e furore; ma era rispettosissimo delle persone. Questo spiega l’ardore fremente dei suoi scritti e, in particolare, delle sue Lezioni di letteratura italiana, scritte con lo stesso spirito ghibellino, anticlericale e feroce che fu di Dante. Alle sue sferzate non sfuggì nemmeno il Manzoni, che, a suo dire, invitava alla rassegnazione e al servilismo. Era invece pacato e cordiale, e persino ironico e autoironico, quando parlava di sé, nelle Ricordanze della sua vita. Ciò accadeva perché, come ogni autentico lucano, a detta dell’amico De Sanctis, “non si accorgeva nemmeno che era un uomo buono e grande”. Se lo era davvero, aspettava che fossero gli altri a riconoscerlo, a dirlo e, magari, a scriverlo. Ma se lo era davvero, e nessuno lo diceva, andava bene lo stesso. Altre opere di Luigi Settembrini, oltre quelle citate, sono: una traduzione dei Dialoghi di Luciano; Scritti vari di letteratura, politica e arte (1879), a cura di Francesco Fiorentino; Epistolario (1883), a cura di Francesco Fiorentino e poi (1894) a cura di Francesco Torraca; Scritti inediti (1909), a cura di Francesco Torraca;Dialoghi (1909) ancora a cura di Francesco Torraca.
Giovanni Caserta