Divagazioni leggendo Celan, di Narda Fattori

celanLa memoria trattiene e cuce con filo inestricabile gli eventi della nostra storia, eventi che per essere ancora presenti e interagenti strutturano significati e come tante piccole mani aprono varchi al nostro sguardo , costruiscono il puzzle della nostra identità. Perdere la memoria è perdere se stessi; lo fa una malattia così infame come l’Alzheimer, alla quale possiamo solo sperare di scampare , ma di frequente lo fa la nostra volontà perché la memoria è spietata e trascina con sé quanto di bello e di buono ci è toccato e quanto di tragico ci è piombato addosso; non basta, la memoria specchia le nostre deficienze, i mali coltivati, le piccole miserie quotidiane. Eppure non ci sarebbe la poesia senza memoria: possiamo scrivere solo del vissuto ; l’immaginato ne è un figlio covato in un nido spesso malevolo. Paul Celan ha dovuto fare i conti con una tragica memoria del tempo che in pochi anni gli aveva sottratto genitori e figli, che già aveva abraso l’ identità nel campo di concentramento e di lavoro causandone una fragilità psichica che non gli consentirà di reggere ai sempre rinnovati dolori e richiami della vita. Come tanti che hanno conosciuto il concentramento finirà suicida lanciandosi nella Senna. Una delle sue poesie più celebri Todesfuge , ma anche tutte le altre edite e inedite sono di difficile traduzione ed esprimono anche tutta l’opera poetica di Celan, costituisce una vera e propria resistenza alla condanna, un tentativo disperato e tuttavia lucidissimo di trasformare l’orrore assoluto in immagini e linguaggio. La poesia, lunga , avanza per ossimori ( il latte che nutre è nero…)

Nero latte dell’alba lo beviamo la sera
lo beviamo al meriggio, al mattino, lo beviamo la notte
beviamo e beviamo
scaviamo una tomba nell’aria lì non si sta stretti

Nella casa c’è un uomo che gioca coi serpenti che scrive
che scrive in Germania la sera i tuoi capelli d’oro Margarete
lo scrive e va sulla soglia e brillano stelle e richiama i suoi mastini
e richiama i suoi ebrei uscite scavate una tomba nella terra
e comanda i suoi ebrei suonate che ora si balla

Nero latte dell’alba ti beviamo la notte
ti beviamo al mattino, al meriggio ti beviamo la sera
beviamo e beviamo
Nella casa c’è un uomo che gioca coi serpenti che scrive
che scrive in Germania la sera i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith scaviamo una tomba nell’aria lì non si sta stretti

Egli urla forza voialtri dateci dentro scavate e voialtri cantate e suonate
egli estrae il ferro dalla cinghia lo agita i suoi occhi sono azzurri
vangate più a fondo voialtri e voialtri suonate che ancora si balli

Nero latte dell’alba ti beviamo la notte
ti beviamo al meriggio e al mattino ti beviamo la sera
beviamo e beviamo
nella casa c’è un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith egli gioca coi serpenti
egli urla suonate la morte suonate più dolce la morte è un maestro tedesco
egli urla violini suonate più tetri e poi salirete come fumo nell’aria
e poi avrete una tomba nelle nubi lì non si sta stretti

Nero latte dell’alba ti beviamo la notte
ti beviamo al meriggio la morte è un maestro tedesco
ti beviamo la sera e al mattino beviamo e beviamo
la morte è un maestro tedesco il suo occhio è azzurro
egli ti centra col piombo ti centra con mira perfetta
nella casa c’è un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
egli aizza i suoi mastini su di noi ci dona una tomba nell’aria
egli gioca coi serpenti e sogna la morte è un maestro tedesco

i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith

Dalla raccolta di poesie inedite in vita, “Conseguito silenzio”, a cura di M. Ranchetti, Einaudi estrapoliamo alcune poesie.

 

Anche noi vogliamo essere,
dove il tempo dice la parola di soglia,
il millennio giovane si alza dalla neve,
l’ occhio errante
si calma nella propria sorpresa
e capanna e stella
stanno nel blu da vicini di casa,
come se la strada fosse già percorsa.

 

La notte, che ci misurò le fronti, ora divide il
fogliame del platano:
il giallo, maturato nel piovere, è mio,
se penso che l’ amore è una chiatta,
così pesante d’ oro e raccolto, che più nessuno è ai
remi,
e ingovernata incrocia davanti la baia degli occhi
dispersi;
il cielo le mostra la sua stella
così sovente che crede di conoscerti,
e Odisseo non segue nel suo errare.
II rosso, in mucchio nell’ androne del cuore, è tuo:
tu sai chi mi distrugge, se penso ciò che vuole la
notte.
Tu sai dove giaccio, per averlo pensato.
Tu ti poni a giacere coi miei pensieri.
Ma quello che resta è il fogliame di nessuno:
conquista per sè il bruno fogliame la sera;
esso sa nostro figlio.

 

La morte                               per Yvan Goll

La morte è un fiore che solo una volta fiorisce.
Ma fiorisce come nient’altro fiorisce.
Fiorisce, appena lo vuole, non fiorisce nel tempo.
Essa viene, una grande falena, che adorna steli
cedevoli.
Tu lasciami essere uno stelo, così forte, che la
rallegri.

 

3 commenti
  1. Sulla poetica di Celan ho scitto che: Celan ribalta l’ovvio, restituisce e risolve quella fragilità poetica, della quale la poesia è vittima, specialmente oggi.
    Lo ribadisco in questo interessante contributo.
    Tiziana

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