NERI FIOCCHI
Neve è caduta, senza luce. È già
una luna o due che l’autunno, sotto tonaca di frate,
ha portato un messaggio anche a me,
una foglia dai pendii di Ucraina:
“Pensa che è inverno anche qui, ora per la millesima volta
sulla terra dove scorre il fiume più vasto:
Sangue celeste di Giacobbe, benedetto da asce …
Ghiaccio di un rosso non terrestre – guada il loro atamano
con tutte le salmerie nei soli che s’oscurano … Figlio, uno scialle,
che mi ci avvolga, quando scintilla d’elmi,
quando la rosea lastra si spacca, quando polvere di neve
si fanno le ossa di tuo padre, sotto gli zoccoli
scricchiola il canto del cedro …
Uno scialle, solo un piccolo scialletto, ch’io conservi
adesso, che tu impari a piangere, accanto a me
la ristrettezza del mondo, che non è mai verde,
figlio mio, per tuo figlio”.
L’autunno, madre, mi è sanguinato via di qui,
la neve mi ha bruciato:
ho cercato il mio cuore, perché piangesse,
ho trovato il soffio dell’estate.
Era come te.
Mi sono venute le lacrime. Ho tessuto lo scialletto.
Qui la banalità del male deportazione si fa tragica naturalità degli elementi (“l’autunno mi è sanguinato via di qui”), si fa inversione sensoriale (“la neve mi ha bruciato”) e anticipa mirabilmente la consecuzione dei fatti: il combusto tremendo sarà dissolto negli elementi atmosferici; versione poetica di un popolare canto di bambino nel vento. L’unico appiglio che resta è la materialità degli oggetti del presente, lo scialletto e la sua carica valoriale assurgono a unico rimedio contro neve che brucia, quando le ossa dei padri si fanno “polvere di neve”. E mentre “i soli s’oscurano” il nero tinge tutto ciò che è chiaro, oltre alla neve, il latte come i capelli d’oro, e ne fa cenere. A mezzo dell’anafora, esprime l’ossessione della persecuzione e il ripetitivo abominio delle giornate.
FUGA DELLA MORTE
Negro latte dell’alba noi lo beviamo la sera
noi lo beviamo al meriggio come al mattino lo beviamo la notte
noi beviamo e beviamo
noi scaviamo una tomba nell’aria chi vi giace non sta stretto.
Nella casa vive un uomo che gioca colle serpi che scrive
che scrive in Germania quando abbuia i tuoi capelli d’oro.
Margarete egli scrive
egli s’erge sulla porta e le stelle lampeggiano egli aduna i mastini con un fischio
con un fischio fa uscire i suoi ebrei fa scavare una tomba nella terra
ci comanda e adesso suonate perché si deve ballare.
Negro latte dell’alba noi ti beviamo la notte
noi ti beviamo al mattino come al meriggio ti beviamo la sera
noi beviamo e beviamo.
Nella casa vive un uomo che gioca colle serpi che scrive
che scrive in Germania quando abbuia i tuoi capelli d’oro.
Margarete i tuoi capelli di cenere Sulamith noi scaviamo una tomba
nell’aria chi vi giace non sta stretto
Egli grida puntate più fondo nel cuor della terra e voialtri cantate e suonate
egli trae dalla cintola il ferro lo brandisce i suoi occhi sono azzurri
voi puntate più fondo le zappe e voi ancora suonate
perché si deve ballare.
Negro latte dell’alba noi ti beviamo la notte
noi ti beviamo al meriggio come al mattino ti beviamo la sera
noi beviamo e beviamo
nella casa vive un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith egli gioca colle serpi.
Egli grida suonate più dolce la morte la morte è un Mastro di Germania
grida cavate ai violini suono più oscuro così andrete come fumo nell’aria
così avrete nelle nubi una tomba chi vi giace non sta stretto.
Negro latte dell’alba noi ti beviamo la notte
noi ti beviamo al meriggio la morte è un Mastro di Germania
noi ti beviamo la sera come al mattino noi beviamo e beviamo
la morte è un Mastro di Germania il suo occhio è azzurro
egli ti coglie col piombo ti coglie con mira precisa
nella casa vive un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
egli aizza i mastini su di noi ci fa dono di una tomba nell’aria
egli gioca colle serpi e sogna la morte è un Mastro di Germania.
I tuoi capelli d’oro Margarete,
i tuoi capelli di cenere Sulamith.