
C’è, nel cuore poetico dell’opera di Marco Onofrio, un pensiero cosmico che si frange in costellazioni di domande e stupori lirici nottilucenti. L’autore, come un filosofo delle origini, un presocratico, indagatore della natura, sente l’imperativo di una ricerca di sé e del mondo idealmente rappresentato in geometrie oniriche: ne è una prova eloquente, ad esempio, la lirica, “I fasti del silenzio”.
Ecco: il mondo ora è perfetto / rotondo, fulgido, maturo / frutto d’oro che io ho fatto mio / pomo che all’interno mi possiede, / svela generoso i suoi reami / i fasti del silenzio e dei misteri; / chiuso fra le braccia e le mie mani / il petto che sussulta di emozioni / sono io – mi riconosco?
Infine, in chiusa, la poesia prorompe poi un vitalismo danzante e classico di rinascita, nell’orologio dell’eterno ritorno del Tempo:
Gaia di pienezza è la mia vita: / per questo, sempre ne rinasco / e come fui domani sarò ieri.
Scrigno aforistico, ma affascinato dall’ancestrale numinoso della poesia, è davvero una prova di ingegneria del silenzio, allora, tutta la versificazione di Onofrio. Opera dopo opera, l’autore secerne modernamente domande radicali. Ma immette in questo cielo, macerie espressionistiche, bagliori d’indignazione e acri della palude dell’oggi. La terra esala miasmi che pongono graffianti domande all’ordine; e al cosmo, Onofrio lancia… quasar di versi. La poesia è anche quella “Radio amore” che racconta gioia e dolore dell’essere, nella musica atonale del tempo.
I topoi classici di cui Onofrio è imbevuto, si riequilibrano appunto con vertigini di stupore profondo, con la dolcezza misteriosa e sensuale dell’amore. Il richiamo all’eros tumultuoso, il pagano sacro riso dei sensi spumosi di vita e ardenti quanto più rapiti da una brevis lux, è un kerigma tipicodei classici, greci e latini. Nel nostro, che abilmente rovescia un noto verso di Sbarbaro, recupera all’inizio di Antebe. Romanzo d’amore in versi (la silloge è del 2007) il dionisiaco e il fremito totale della vita. Allora pare che il metafisico prenda voce e forma nella religio amorosa del desiderio.
Ah, miracolo di carne da godere! / Enigma di languido abbandono. / Dedalo fantastico di sensi. // Ho deciso e giuro veramente: / oggi voglio nascere alla vita, / respirando sui tuoi pomi color luna / l’odore che tu hai meraviglioso….
Il testo offre vari esempi di climax erotico di potente efficacia e così si dà sapore di natura all’atto amoroso:
Profuma il miele dentro la fessura / dove cuoci il pane della vita: / e il dolce companatico sei tu.
Da questa sensualità, che è ingegneria di vita e d’esistenza, nasce un universo d’emozioni. Una biologia del desiderio che si fa sempre conoscenza e meditazione, compone gran parte della produzione letteraria e poetica di Marco Onofrio, che ha raccolto in questa Antologia oltre vent’anni di scrittura in versi. La Prefazione di Plinio Perilli esprime bene la ricchezza e la complessità del dono poetico di un pensiero ricco di aforismi filosofici: ma nell’ombra della mente il poeta è radicato di desiderio.
Marco Onofrio, si configura quindi nel mondo poetico attuale, certo un contemporaneo e realista; nel solco però di una feconda, stellata luce della tradizione antica che, da modelli aulici, come Catullo e Lucrezio, arriva al paganesimo vitalistico di un d’Annunzio alcyonio, fino ad esiti di espressionismo linguistico pasoliniano, e aperto, oggi, a suggestioni massmediali. Poeta d’indignazione civile è Marco, nel suo poemetto Emporium, come pure in altre corrive ironie amare, come in Disfunzioni ed altri versi civili, feroci nel linguaggio vibrante di espressionismi gergali e immagini corrotte del mondo d’oggi. Un altro lacerto classico! Petronio il suoSatyricon e le rivisitazioni di Pasolini riaffiorano, in un codice linguistico a specchio dalla romanità neo-marginale del “coatto”, a scene di ragazze in minigonna e altre agnizioni del tempo romano in cui trova posto una vera cloaca d’umanità…
Ma, per dirla appunto con l’autore, oltre la maceria, c’è l’antidoto di un azzurro esiguo, torna la felicità pensosa del viaggio, il cielo degli affetti familiari, i versi struggenti e onirici sulla morte del padre… I momenti della nascita e della morte, si incontrano in questa galassia memoriale che apre versi di forte impatto e sentimento perché immersi nel cielo della vita.
L’opera di Onofrio quindi ha formalmente radici complesse con esiti pluristilistici. Un cosmo emozionale di parole accese a ricordi familiari, a lirismi di natura; ma si anima anche d’una terrestrità che si fa spesso occhio, mano. Il logos del cuore irrompe potente nella natura. Il corpo, l’eros si fa onda vagamente dannunziana, nella metafisica algida di stelle lontane…
Marco Onofrio si sente poeta dell’anatomia del vuoto. E germina poesia, appunto, da quel silenzio siderale in cui cercare con le sirene del cielo, le stelle, nuovi dialoghi, ispirazioni esistenziali di una densa e radiosa luce lirica. Troviamo dunque in questa Antologia poderosa, un appello senza fine al cielo; sì, ma per leggere alfabeti di luce, serve il disincanto della storia, il rischio di un cammino nel linguaggio che muta. Nel silenzio e oltre, la poesia diviene allora l’autobiografia di una generazione. Ma nasce anche un’ingegneria ultrametafisica che si apre all’infinito delle stelle e lampeggia versi…
Vieni, cielo lampo dell’arcano
Trascendi dall’interno originale!
O nella bellissima sintesi poetica del nostro che è “A una cefeide”, e che riportiamo integralmente a conclusione della lettura dell’opera dell’autore romano, sempre in pensosa ricerca di rinascite di sé.
Cercavo quella luce dentro me / graffio di perla sul velluto nero / del suo fuoco – fontana / lontana di meraviglie / tra le polveri splendenti / dell’aurora – / due ore ho parlato a una cefeide / confidandole il mio sogno / e il mio segreto: / liberi / indomiti / impronunciabili. // Galleggiava ai bordi della notte: / cadde in pochi attimi / portando via con sé / sogno e segreto / dentro i precipizi / del silenzio. // Tornerà tra mille anni, forse:/ di me, allora, polvere neppure / ma lei, più fedele della morte / manterrà il segreto intatto / e porterà dal cielo / il sogno finalmente realizzato.
Paolo Carlucci



