Introduzione
Quando le ho scoperte, una certa estate, spaesate e smarrite sulla bancarella di un rigattiere, un giorno di mercato sulla piazza di una città in Francia – , non immaginavo per quali strade mi avrebbero trascinata insieme a loro ! Quante storie mi avrebbero raccontato, come tante mini Shahrazade, queste piccole donne-oggetto venute dal passato. Compagne delle nostre nonne, madri, anche nostre, sono il versante rosa della luna, quello che guarda a Venere, femminile e seducente, romantico e provocante, un universo di figlie, sorelle, mogli e cortigiane, contrapposto a quello di Marte, popolato da soldatini armati di archibugi e fucili, poi da Big Jim, nerboruti che non chiedono mai e da macchine rombanti che fanno vrumvrum.
Prima, con le loro facce ancora paffute da bambine ottocentesche e salottiere, un po’ viziose e un po’ ingenue, i loro occhioni sgranati dalle espressioni ambigue e le loro chiome cotonate, i loro nastri, merletti e trine da precoci cocottes; più tardi, adottando o creando nuove mode : trucchi sapienti, capelli ossigenati e vestitini attillati o jeans e minimagliette su corpicini anoressici e loliteschi, sono diventate le tremende Barbie e Bratz, miti e modelli delle nostre figlie, nonché inconsapevoli clones delle ragazze patinate e quasi intercambiabili che esibiscono il loro broncio telecomandato e le loro grazie su riviste, foto pubblicitarie, schermi TV o computer. Tutte hanno comunque cullato e cullano ancora i sogni di generazioni di ragazze di tutte le età..
Ma nel passato erano – forse sono ancora – altro e di più: amiche, complici, confidenti delle loro padroni, piccole o grandi. Come mi ha raccontato chi, diventato loro guardiano e medico-chirurgo, smonta, rimonta e restaura, curandole con l’affetto di un padre di famiglia nella sua Boutique fantasque, altre di loro, scoperte poi a Roma, erano quelle a cui poter confidare segreti, gioie, tormenti; per le quali inventare storie straordinarie; quelle di cui le ampie vesti sapevano nascondere e proteggere, come dentro un reliquario o una cassaforte inespugnabili, diari, lettere compromettenti, gioielli magari ricevuti clandestinamente e mai esibiti, se non nell’intimità di una camera chiusa; quelle a cui sussurrare frustrazioni o al contrario peccati troppo vergognosi o scandalosi per poterli svelare in confessione, impossibili da raccontare ad uno psicanalista ancora di là da venire; quelle, mute ma comprensive e consolatrici, che sapevano ascoltare senza giudicare né tradire.
Inserendole in contesti spiazzanti o ambigui e riflettendo sulla loro tipologia e simbologia, mi sono chiesta se non fosse possibile leggerle anche come archetipi e personificazioni di una condizione femminile, che per inclinazione o astuzia, gusto o calcolo, a volte costrizione, purtroppo spesso violenza, si presenta o si pretende sempre sorridente, ammiccante, pronta e disponibile al migliore offerente.
Le mie donnine, un po’ per sfida e provocazione, un po’ per divertimento, le ho collocate, come tante Alice nel paese delle meraviglie, in scenari strani lontani anni luce dai salotti buoni e camere da letto della loro infanzia. Le ho inserite, facendo loro violenza a mia volta, in luoghi insoliti, periferie, strade e marciapiedi, boschi; scenari astratti, dietro finestre mute, davanti a portoni fatiscenti e minacciosi, dove sembrano aspettare, chi, il principe azzurro che le bacerà e salverà, chi, il cliente facoltoso, sorvegliate da papponi nascosti.
Dietro le loro facce ilari, perplesse o rassegnate, da alcuni loro corpi abbandonati, usa e getta, emana profumo di finta innocenza e ingenuità, intrecciate ad una passività la quale perpetua un loro ruolo ancestrale, che le condanna, volenti o nolenti, alla sottomissione oppure al giuoco e al piacere, ottime attività solo se liberamente scelte.
Edith Dzieduszycka
1.Olimpia. Non sapete chi sono io
Mammina mi ha chiesto di portar fuori il cane perché oggi è giorno di riposo del nostro filippino e la colf è impegnata a sistemare gli armadi per il cambio di stagione. Così mi dovrò trascinare quella bestiaccia raso-terra e puzzolente, a volte anche mordace, per gran parte del pomeriggio. Meno male che la mia amica Priscilla verrà insieme a me, così potremo chiacchierare un po’ facendo shopping. Sono parecchi giorni che non la vedo; lei ha sempre un sacco di pettegolezzi gustosi da raccontare, così il tempo passerà malgrado tutto in modo divertente.
Ah! Dimenticavo di dirvi chi sono io: mi chiamo Olimpia di Bellosguardo. Sono di ottima e antica famiglia e mi sembra pure che si veda. Ma ho un grande cruccio, perché mio padre vorrebbe che sposassi il figlio del banchiere Salasso per poter ridorare il blasone di famiglia un po’ appannato. Ma a me quel ragazzone bianchiccio e magrolino non piace affatto; a dire la verità mi fa perfino ribrezzo. Dovrò coinvolgere mia madre e schierarla dalla mia parte. Poverina! Lei ha sempre tanto da fare tra balli e feste di beneficienza da organizzare; cercherò però di acchiapparla e pregarla di convincere Papà a rinunciare a quell’insano progetto. Ma non avrà comunque l’ultima parola, potete esserne certi. Non mi lascerò trascinare all’altare come un agnello al macello. Vi terrò al corrente del seguito della faccenda.
2. Magdalena. Non so se tornerò
Sono andata a visitare mia sorella Elisabeth, suora di clausura in questo austero convento fuori città. Non l’avevo più vista dal giorno dei suoi voti. Ha avuto un permesso speciale perché ci potessimo incontrare ed abbracciare. Poverina, l’ho trovata molto sciupata, pallida e smunta, anche troppo tranquilla. Mi ha detto che dorme male, si deve alzare prestissimo per le preghiere mattutine, mangia poco. Mi ha anche confidato bisbigliando che la superiora è molto severa, soprattutto con le novizie. In poche parole mi ha fatto davvero pena.
Però a suo dire ha trovato qui una grande pace; a volte sente delle voci lontane che la chiamano e le parlano; così intreccia con loro lunghi discorsi mentali e spirituali dei quali, dice lei, io non capirei proprio niente. Comunque non vorrebbe tornare indietro alla vita frenetica di prima. Contenta lei…
Non mi ha chiesto molte notizie di casa, ma alla fine del nostro incontro mi ha rimproverata per il vestito rosa, secondo lei troppo frivolo e non adatto per una visita in un luogo di raccoglimento e di modestia come questo. Dopodiché mi ha salutata ed è ritornata nella sua cella. Non so proprio quando tornerò a trovarla.
3. Ninetta la Rossa
Come sono stanca. Ho tanto da fare ultimamente. E’ un periodo molto faticoso ma non mi lamento. Anzi devo essere contenta perché significa che le cose vanno bene. I clienti sono tanti e sembrano tutti soddisfatti delle mie prestazioni. Ma non so quanto potrò reggere con questo ritmo. Non ho neanche più il tempo di sistemarmi, pettinarmi e rifarmi il trucco tra una seduta e l’altra. E’ proprio un passa-parola. Come le ciliegie! Una tira l’altra.
Quando sono sbarcata in questo quartiere sembrava davvero un mortorio. La gente passava veloce. Che piovesse o soleggiasse, che fosse giorno oppure notte, nessuno si fermava. C’era pure qualche altra botteguccia in giro, ma di scarso interesse.
Appena sistemata io invece, pare l’andamento sia radicalmente cambiato. E’ perché io ci so fare! Nel mio piccolo commercio non sono l’ultima arrivata. Solo che adesso le cose stanno quasi superando le mie speranze più rosee e mi ritrovo in una situazione piuttosto stressante. Dovrò cominciare a fare una selezione severa che rischia di piacere poco ad alcuni dei miei afficcionados. Però non si può escortare chiunque senza pretendere un minimo di garanzie e di signorilità. Ne va della mia reputazione ormai in via d’ascesa. Non ho forse ragione?
4. Una donna di classe
Da lontano e dall’alto assisto alle liti feroci tra Ninetta e Gianna. Sembrano beghe di galline in un pollaio!
Io mi sento così estranea a tutte quelle piccolezze che loro mi fanno insieme rabbia pena e tenerezza. Prima perché mi sembra di non somigliare a nessuna delle due. Io ho un mio stile molto particolare, sobrio ma originale, direi anzi sofisticato senza temere d’essere smentita; e non scenderei mai ai livelli volgari che stanno purtroppo attecchendo in sempre più numerosi ambienti di lavoro.
Io me ne sto sempre piuttosto in disparte con un atteggiamento misurato e riservato che può forse intimidire una certa clientela, ma ne attira sicuramente un’altra, più attenta e sensibile all’eleganza e al buon gusto.
Per cui, ripeto, mi sento al di là e al di fuori del loro circo patetico e becero e me ne sto per conto mio, sicura d’essere nel giusto. Avrò forse meno lavoro, ma di qualità, ed è quello che conta ai miei occhi, che tutti ritengono notevoli.
5. Teresa. Sedotta e abbandonata
Mi avevano ben detto che era un mascalzone, ma non avevo voluto crederci. E invece, eccomi qua…
Come facevo a non cascarci? Era così bello, seducente, affascinante. Parlava così bene d’amore, di futuro, di felicità, che non ho immaginato un solo istante che potesse essere tutta una commedia. Infatti abbiamo passato insieme dei momenti meravigliosi… all’inizio. Mi sentivo al settimo cielo! Ma come? Proprio a me capitava questa cosa straordinaria che pensavo non esistesse che nei romanzi sentimentali da quattro soldi. Non riuscivo a crederci. Sembrava però tutto vero, solido, concreto. E io, povera illusa stupida, costruivo futuri di sogno dentro castelli incantati!
E poi, mi chiederete? Cos’è successo?
Una sera di parecchi mesi fa, tutta fiduciosa e commossa, sono tornata a casa con il famoso test…
E fu a questo punto che cambiò tutto. Il suo viso si chiuse, il suo sguardo diventò di ghiaccio, le sue parole di piombo fuso sulla mia anima ferita.
La sera stessa fece la valigia e da allora non l’ho più rivisto.
6. La sconosciuta. Un fatto di cronaca.
E’ stata trovata all’alba da un passante infreddolito e sconvolto che ha subito chiamato con il cellulare la polizia e un’ambulanza; anche se aveva capito che ormai non c’era più niente da fare per quella poveretta.
Quasi nuda, giaceva supina su un letto di foglie morte. Niente altro intorno a lei che potesse suggerire il motivo del decesso. Niente sangue, nessuna ferita apparente, non un’arma, qualunque fosse, il viso ermetico dalle palpebre chiuse. Ma perché chiuse? Chi gliele aveva abbassate? Un altro passante impietosito ma frettoloso, e forse timoroso di risvolti antipatici e di complicazioni per la quieta della sua vita? Il suo assassino, con un gesto forse inconsapevole di rimorso, oppure di fastidio davanti allo sguardo sbalordito della sua vittima?
Il medico legale poté indicare l’ora presunta della morte, riservandosi tuttavia la possibilità di precisarla meglio una volta conclusa l’autopsia. Secondo lui doveva aggirarsi intorno a mezzanotte. Il freddo delle ore notturne aveva solo accelerato il rigor mortis.
A questo punto tutte le opzioni sono aperte. Un’inchiesta sta per aprirsi e nessuno è ancora in grado di prevederne l’esito.
7. La forza del pensiero
Ci hanno sequestrate picchiate stuprate e poi decapitate. Hanno bruciato i nostri corpi e buttato le nostre teste a caso sopra le ceneri.
Sono malvagi crudeli orrendi ma anche immensamente stupidi. Perché non hanno capito che le menti rifugiate in quelle teste contenitori sono fuori dal tempo. Al di là delle apparenze. Sono l’arma più potente che possa esistere. Una volta lanciate le loro frecce fuori dal turcasso nell’aria incapace di trattenerle o respingerle niente e nessuno sarà più in grado di fermarle.
Anche se offesa amputata sbeffeggiata l’urna madre, non la smettono più quelle menti in apparenza sconfitte e inoffensive di pensare giudicare condannare maledire diffondere all’infinito le loro idee.
Per sterminarle veramente andrebbero schiacciati sbriciolati bruciati in anticipo i crani ricettacoli, come andavano trafitti con la spada i cuori dei vampiri, affinché smettessero di emanare ondate di pensieri d’una forza tale da riuscire a sollevare le montagne deviare il corso dei fiumi prosciugare i mari abbattere i tiranni.
8. Il buio davanti a noi
Quale sarà il nostro destino? Siamo salite sull’alta montagna per tentare di decifrare l’avvenire che dovrebbe intravedersi all’orizzonte. Quell’avvenire esiste. Per forza. In prospettiva, virtuale, nebuloso. Per ognuno di noi. Appiccicato ad ogni creatura viva. In certi casi visibile, leggibile, comprensibile. In altri invece pervicacemente nascosto. Qualcosa però si riesce, si dovrebbe riuscire a percepire in lontananza.
Purtroppo davanti a noi oggi è tutto scuro. Nessuna luce rischiara l’ampia distesa buia stesa ai nostri piedi. Non perché abbiamo la vista annebbiata, nessuna di noi tre porta gli occhiali. Ma il buio è così fitto, così compatto che non c’è nessuna possibilità di scorgere il minimo barlume dentro la sua massa. E ci vengono i brividi a stare lì, a contemplare la sua vastità impenetrabile ed imperscrutabile, ad osservarla senza speranza. Così ci stringiamo forte l’una all’altra per rassicurarci e farci coraggio.
Che sia una meteora alla rovescia fatta di nulla? Una cometa spenta? Un buco nero che potrebbe risucchiarci? Speriamo soltanto un fenomeno di passaggio. Dal quale poi riusciremo a liberarci. Più forti di prima. Forse !
Edith Dzieduszycka