Pomeriggi perduti di Michele Nigro dichiara con franchezza e più volte la necessità di un combattimento tra spazio e tempo, senza lasciar spadroneggiare troppo uno di questi due campioni del senso e dei sensi, sempre in fuga nella vaga signoria della nostra esistenza rizomatica e frattale.
come un ladro non inseguito
se non da se stesso
che interrompe schemi marci
Da un lato, nei titoli o nei testi di Nigro proliferano i luoghi, indicati con cura, puntando bene il dito sulla cartina, legandoli a nomi e ricorrenze; da Padova a Istanbul, gli spazi non vengono né dilatati a universali né rimpiccioliti a simboli, ma rimangono tappe necessarie, passages severi e ineludibili privi di qualsiasi monumento all’eternità. Un viaggio puntiforme, che non rimpiange i vagoni e i giorni, ma con tanta attenzione per le rotaie, le ferrovie e la strada. La strada, soprattutto, perché è proprio sulla strada che, alla fine, il viaggiatore, «viandante eretto / ma non eretico», deve restare, senza speculare su dove venga portato: un viaggio senza vettori, fatto di bandierine piantate nel globo, incuranti su quale forma descriveranno viste dall’alto, alla fine. Dall’altro lato, senza mai accontentarsi di biografismi né di schegge memorialistiche, in ogni luogo l’autore testimonia che il tempo ha fatto esperienza di lui. Il momento perfetto è una piccola poesia manifesto sull’intenzione di vivere del poeta, dove il verso si fa singolarmente irregolare, per aiutarci a raggiungere, oltre nomi, cognomi, numeri civici e di telefono, una sorta di limbo che sa di paradiso: larve, sì, ma con il futuro dentro.
Esisteranno, un giorno che non chiameremo più
giorno
anche per noi
un tempo e uno spazio
(non più tempo, non più spazio)
La maggior parte dei testi tende, pur nella ricchezza dei riferimenti extra-testuali, all’autonomia estetica, celebrando più il singolo testo che la complessità del canzoniere: ogni poesia cerca di bastarsi, senza alludere di continuo a un più grande discorso. Ogni giorno-poesia ricomincia con un’affermazione nuova, così come la mappa di questi Pomeriggi non vuole contenere tutti i luoghi, perché tra due punti lo sguardo del poeta può infilarne sempre nuovi, per misurare e insieme colmare «le distanze / tra la piccola storia / e l’infinito». […]
Stefano Serri
Mi occupi
Ignara del tuo futuro esserci
e del dolore
nel guardare altrove,
mi occupi,
posare gli occhi
sul volto simile
di chi non sei tu,
per salvarmi dall’oblio,
gesti ripetuti
sulla pelle di domani
crudele riverbero del noi,
mi occupi,
all’orizzonte, forse
nuove terre per la semina,
eppure, mi occupi sovrana
con truppe di ricordi
e presidi
di sguardi mai spenti.
Vox populi
La voce di donna registrata
dell’“è arrivato l’arrotino!”
insiste da un’auto lenta
tra le vie di quartiere,
cerca casalinghe vedette
in vestaglie macchiate di figli
senza più il filo della lama
smussato dal ripetersi
e dalla moda dei metoo.
Mi ricorda gli annunci spietati
ma dolcemente femminili
della compagna-operaia
alla popolazione tibetana,
da minacciosi altoparlanti
di propaganda e nuovi sol
le disposizioni dell’invasore,
inesorabili dispacci dal passato
come da un redivivo Esercito
della Repubblica Popolare Cinese.
La casa senza noi
(Protagora)
Come corpo morto
pian piano si fredda
la casa lasciata sola
non vissuta da aliti umani
vapori di brodo sui vetri
e caldi sospiri di stufa.
Tra queste quattro mura inanimate
si rifugia forse lo spirito
della storia che non conta
il tempo
perché tempi non conosce?
Cosa fai al buio, d’inverno
durante le lontane feste?
I testimoni oculari
che tutto misurano
lasciano dietro di sé
polveri ignoranti
tra muti oggetti
non più sfiorati
da una vista cosciente,
un ultimo giro di chiave
li separa da un’immobile eternità.
Décadent
L’estetica del caos
esprime se stessa in un
decadentismo da giardino,
legni abbandonati al tempo
liberi di non pesare sulla storia
cancelli in preda a ruggini
come rughe mal curate
erba alta e uva marcia
tra capelli spettinati
dal vento dell’oblio.
Catene e lucchetti
incrostati d’avarizia
a contenere una natura
destinata a evadere,
foglie gialle e muschio
su strati di genie
immortalate da
un bianco e nero analogico.
Lascio ad altri
l’ossessione tassonomica
l’ordine delle cose per
sentirsi in pace
e il controllo sulla morte.
Immaterial
Vento di spettri cari,
t’insinui tra scricchiolanti
porte antenate suonando
come flauti di ghisa stufe
spente da troppo tempo.
Metto in salvo dall’oblio
distratti squarci di
bellezza allo stato brado,
conserve per l’anima.
Cane che mordi l’aria
intorno al liberatore,
assuefatto alla catena
anche questa sera
al mio passaggio, non capirai.
Michele Nigro
Michele Nigro nasce nel 1971 in provincia di Napoli e vive a Battipaglia (Sa). Si diletta nella scrittura di racconti, poesie, brevi saggi e articoli. Ha diretto la rivista letteraria “Nugae” fino al 2009 e attualmente cura il blog personale Nigricante. Nel 2016 esce la suaprima raccolta poetica – che ama definire “raccolta di formazione” – intitolata Nessuno nasce pulito (edizioni nugae 2.0).
Grazie per l’attenzione e l’ospitalità!
L’ha ribloggato su Pomeriggi perduti.