Già ne Il Candelaio Giordano Bruno addossa la pedanteria aristotelica a Manufrio e Polinnio di De la causa, principio et uno ne è derivazione. Nell’incipit del Dialogo III, l’interlocutore Gervasio parlotta da solo in attesa di altri amici per continuare la discussione intrapresa la sera precedente. Cessato il monologo annuncia Polinnio che sta per scivolare nel ruolo teatrale di macchietta, cioè maschera fanfarona di dottore ignorante. Telesio, alter ego di Bruno, dalle quinte par dire che la polemica contro Aristotele nasce nell’ambito di élite intellettuale per divenire senso comune. Bruno usa la manipolazione linguistica per schernire il personaggio che adegua l’insipienza e la carenza argomentativa con il ricorso al latino, poco pertinente e inadeguato al confronto. Il contesto, un trattato filosofico, è giardino di rettitudine, al massimo può farvi capolino l’ironia in veste di punta dialettica, non il sarcasmo, estraneo alla polemica culturale. Miscuglio inedito dimostra che Bruno rifiuta registro di stile e retorica strumentalizzati dai pensatori contemporanei, li viola a muso duro e rischia di sminuire le sue conclusioni agli occhi dei conformisti. Mette in bocca a Polinnio fraseologie ridicole e nella finzione picchia il suo esser letterato per dichiarargli battaglia antiumanistica. Bersaglio è la teoria di corrispondenze tra uomo microcosmo e mondo macrocosmo che per Ficino e Pico costituiscono decoro e sua divinità. Per Bruno la persona è parte di natura che è divina nella sua interezza come all’inizio del Dialogo V dove tira le somme e sposta assi retorici verso brani lirici. I termini ancora filosofici mirano a coinvolgere le emotività dopo aver esaminato parti precedenti per affermare dimostrazioni o confutarle. Il paradigma che ispira Bruno affonda radici nella Bibbia fino ai teologi mistici e Cusano: utilizza definizioni per negazioni, indica la natura di Dio nella sua infinitudine onnicomprensiva e oltre le doti percettive sensoriali e razionali la descrive elenco di ciò che non è. Il procedimento va applicato alla concezione di Universo con effetto di parola che aumenta vortici su di sé, discorso auto creante per spontanea associazione d’idee. I particolari si sottolineano ripetuti con frequenza ossessiva, non stemperano i piani anelli concettuali ma trasmettono la vertigine tramite incalzo di proposizioni. Pecora nera e regina corteggiata della prosa è una decrescita squilibrata che fuga pacatezze uniformanti di retorica. La mnemotecnica di Ramon Llull o arte di potenziare la capacità della memoria per associazioni d’idee è trasfusione salutare in Bruno ma si fissa determinante ne La Cena de le ceneri, dialogo in italiano dove si combatte l’interpretazione della rivoluzione copernicana per evitare attriti con i testi sacri. I teologi riformati non parlano di dottrina cosmologica ma ipotesi astronomica, modello geometrico incapace di descrivere il cosmo com’è nella realtà fisica, tuttavia pura congettura dei fenomeni scrutabili in cielo. Senza esporla ipotesi astronomica ma rappresentazione del mondo per edificarvi visione di universi molteplici la libera espressione crea scalpore, rivalità anglicana di oxfordiani e cattolici che lo accusano di ateismo e magia. Non mira a sostituire alla posizione nucleare della Terra un riadattato eliocentrismo bensì abolisce la nozione di centro. Il cosmo aristotelico finito, d’impianto gerarchico suddiviso in regione celeste incorruttibile e terrestre cede il seggio all’infinito esteso, universo indistinto dunque acefalo, senza intervenire sulla concordanza tra eliocentrismo e Bibbia di competenza teologica. Puntiglioso disgiunge fede e ragione, è disposto all’ammissione di suoi dubbi nella controversia in merito alla Trinità e alla nozione di persona divina dove nemmeno la Chiesa si giustifica, dubita la verginità mariana, la transustanziazione e devozione a santi e reliquiari. Bruno dissimula le opinioni che possono comprometterlo processualmente, cioè le tesi dello Spaccio della bestia trionfante, mai menzionata ma già sul comodino di Clemente VIII che frana fittizie attenuanti di Bellarmino verso la sua autodifesa. L’indagine filosofica investe la teologia: il cristianesimo è scaduta polizza etica per ignoranti, attraverso precetti vischiosi e profetici raggira i tordi. Il discorso viola la delimitazione d’aree: mentre filosofi e intellettuali s’astengono dal discutere questioni di fede sono liberi di condurre senza ingerenze ecclesiastiche e teologiche la ricerca razionale. Giusto peso è ponderatezza che condanna ozi e rassegnazioni per sostituirsi al cattivo paradigma di Lutero e Paolo, diniego al libero arbitrio è l’intransigenza degenerante e la maturità d’una gramigna infitta nella predicazione di Cristo e del convertito di Tarso. Entrambi dispensari dell’ascolto inerte sono inequivocabile crisi e irreversibilità dell’intero ciclo comunitario se l’etica si dilata filosofia della storia in Cabala del cavallo pegaseo. La dottrina mendace va supplita con la religione degli antichi egizi, destinata a rinascere dopo la conclusione dell’era cristiana, santa asinità al tramonto. Il culto di Amon Ra è avvio di religioni solari come il cristianesimo ed è fonte luminosa dell’intelletto. La giovinezza allegorica delle sponde del Nilo è delta beneficiante di laboriosa concordia tra cittadini; il singolo, a vantaggio collettivo, si occupa nelle attività perché ben orientato da un culto che non pretende intimi digiuni, bensì infrastruttura opere manuali e ingegno. Il lamento di Asclepio è per Bruno il canto del cigno nell’esperimento di attuare riforma sociale ed europea del suo presente, palesi le premesse tardo antiche e la mistica ebraica interlineati dalla traduzione del Corpus hermeticum. Biograficamente, Mocenigo, ospitato Bruno a Venezia, spera presto di essere istruito nell’arte magica ma si rende conto che cognizioni di mnemotecnica son già riscontrabili nei suoi scritti e lo denuncia all’Inquisizione della Repubblica di San Marco. L’atmosfera di civile scambio che permea la laguna, forse la speranza di una cattedra di matematica a Padova hanno indotto Bruno all’accantonamento di cautele nell’Italia dove l’assolutismo della Controriforma imbavaglia. I torpori universitari sono pigra ripetizione del sapere per vigilanza di poteri politici e clericali ma l’avveduto saggia che da Dio, per pioli intermedi, lo spirito entra in ogni articolo pressione “alveolare”, in ingresso l’esalato bronco può inalarlo prometeico: l’ascensione particolare a Dio, dal multiforme all’Uno, è etimo persiano di “magia”, “emorragia” che smantella l’equino di Perseo prolassato dall’ematica Medusa sotto il toro di Mitra. Il Sole è descrizione visibile del vero Astro in ogni mortale, l’iniziato percepisce le figurazioni sigle-levatoie per comprendere idee divine con inseguimento di decolli verso l’autogestione compientesi chiarore totalizzante. Il concetto di Dio eterno e infinito qualifica il mondo essere inesplorato e non contingente nella sua esistenza e valore; la pertinacia naturalista costruisce idea divina a partire dall’analisi sensibile di quanto circonda e promulga l’editto libertario sul soprannaturale: là dove c’è alto sentore è perché da “soli” si è deciso di irradiarsi delicati sviluppi sostenibili. Le scienze particolari e la filosofia non sono antagonistici ma complementari alla religione. Ai progressi nella conoscenza dei fenomeni si avverte che il raggiunto è comunque ristretto, relativo e insufficiente. C’è il sintomo che oltre l’appena conosciuto esiste l’incondizionato assoluto, inesauribile e inconoscibile pronubo che accorda scienza con credo: l’innovazione scientifica consapevolizza limiti, vellica e ingentilisce Bruno linfa felina del nitore. La persuasione di arcano che sormonta l’uomo è essenza pia: le scoperte non sottraggono suolo alla religione -umana fotosintesi dell’equilibrio dinamico orchestrato dalle variabili collegate della biosfera- bensì scaricano la pareidolia per ampliarlo. Cartina tornasole di occulto, la confidenza individuale con la superiorità non deve arrogarsi proposte dogmatiche e imporre contenuti particolari alla scienza, al più rende sicuri della debolezza inesausta del sapere. Scienza e religione, se intese rettamente nei diversi piani d’appartenenza, non duellano ma si nutrono. Risultato vicendevole di evoluzione della specie umana svolgono, nelle reciproche differenze, funzioni utili per la sopravvivenza dei singoli welfare. In Egitto l’affermazione del dio trascendente aggrega olistici il percettibile all’impercettibile, li convettiva eterogenea integrazione e corona mutualistica nei papiri esoterici e oracolari. Tut-Ankh-Amon per riappacificare il paese minacciato dall’esterno muta il nome Tut-Ankh-Aton, censura un retrivo Amenothes “Echnaton”, “Colui che piace a Aton”, il disco solare raggiante, e ripristina Amon. Nei bassorilievi volto e mani dei dinasti vengono scalpellati: sortilegio determinato estingue la sagoma dannata dei predecessori, aboliti dalla memoria li si uccide dopo mummie e a loro seguano le confessioni cristiane, papi in auge e emeriti, le curie. Idee fanno mondo, se si riesce ad arrivare a un iperuranio abitato dalle idee e da lì alla loro culla, sito dove Tutto emana da Uno, si può partecipare della creatività altissima. L’obiettivo della mnemotecnica è la trasformazione dell’uomo in artefice e controllore del suo destino, tempo di Dio che è Dio: Bruno sviluppa una dottrina per l’elevazione dell’umanità, supera il compromesso ficiniano tra ermetismo e dogma cattolico, così lo svettano in Campo de’ Fiori.
Michele Rossitti