Markus Hediger: Vattene. Dimentica Va-t’en. Oublie, Antologia di poesie (1981-2013), Traduzione di Aldo Panaro e Grazia Regoli, Edizioni Ulivo, Balerna, CH – 2015, di Roberto Taioli

copertina3-209x300Vattene. Dimentica (Vat.t’ en. Oublie) di Markus Hediger (Edizioni Ulivo, Balerna – CH –  2015)  è un testo antologico che raccoglie  poesie del poeta di Zurigo scritte tra il 1981 e il 2013. Un arco di tempo piuttosto vasto lungo il quale la poetica di  Hediger si è andata precisando ed evolvendo, pur rimanendo fedele ai moti iniziali.  Scritto in due lingue (francese e a fronte italiano) il laboratorio poetico svela da subito il suo intento di decostruzione della storia per rivelarne il senso nascosto, depositato negli interstizi, non visibile: “Sul rovescio delle foglie sale la mia voce e dal rovescio delle foglie, in intimità con la notte, vi manda mie notizie” (p. 13), ove la poetica dell’adombramento si manifesta come un intento programmatico. Ciò che si nasconde c’è, ma è decentrato rispetto all’occhio usuale e consumato, perciò il poeta sceglie il rovescio per parlare e dare cenni di sé. In questo esercizio di nascondimento si situa  il cuore della poesia di Markus Hediger, la parola si ritrae anche se sembra avanzare, ma in realtà essa è refrattaria al futuro e invece di distendersi si raccoglie, come su di una soglia dietro la quale è depositato tutto il dicibile. Lavoro “archeologico”, di scavo e dissezione di lacerti esistenziali che vanno ricomposti, riportati ad un ordine, prima di tutto nella mente del poeta e poi nella scrittura. Raccogliere, catalogare, conservare. Precisiamo ancora un attimo questa poetica attraverso alcuni versi di Hediger; “ Non rivoltate / la pietra col suo mistero / tramandato dalla luna. /No, non toccate, / l’occhio solo mi sconvolgerebbe, / io sono  cittadino / del Rovescio, sono l’onisco” (p. 21). A questa poetica dell’onisco, animaletto che frequenta le zone umide e chiuse delle case, infilandosi negli angoli, nelle crepe dei muri e scomparendo nel nulla dopo un rapidissimo apparire, Hediger è rimasto sostanzialmente fedele in tutta la sua esperienza. Questa è  la cifra della sua estetica che, pur con sfumature e nuances diverse accompagna il suo cammino. C’è una lirica che s’accompagna idealmente a quella sopra ricordata e che le fa da pendant poiché il tema dell’onisco riemerge, ma con una inclinazione particolare: “Poi ho sollevato la pietra / e l’ho rivoltata, una chiara sera / di primavera. Nessun onisco /in fuga sconvolto ma l’occhio umido, nero d’un ombra che mi guardava” (69). Qui il poeta nel faccia a faccia con l’ombra che non fugge tra gli anfratti della casa, ha un piano riconoscimento di sé. Lo sguardo è infatti un ritrovarsi e un condividere quel mondo al rovescio, nascosto, sotterraneo che Hediger predilige.  L’ombra rilancia una permanenza che resiste al logorio del tempo e si costruisce come sedimentazione. Essa è una salvezza che argina la dispersione e l’inerzia divorante del tempo. Sono allora le persone, le figure  e le cose che abbiamo interiorizzato ad accompagnarci lungo le sponde della vita, in una dialettica tra permanenza ed emergenza, ove le ombre si stagliano come sfondo familiare: “Nello specchio del bagno / l’unico specchio a conoscermi, / solo un attimo , nel mio occhio… / ma … è lei! / E dal fondo di quest’occhio, / il sinistro, impassibile, il suo sguardo. / … Seduta a capo tavola, / senza muoversi, senza dire parola, mia madre. / – E’ ritornata, ci vuole /un altro piatto? / – Davanti allo specchio, /folgorante, questo ricordo notturno. “ (p. 61) .

Roberto Taioli

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