NEL SOLCO
Come ombra che sussiste
solo dove arriva luce,
il dolore divide
i nostri aliti agitati
col pur breve sollievo
che precario giace nel solco
ancora fresco di tempesta.
Così, guardando attraverso l’olmo sfibrato
lascio cadere le mie lacrime
con le tue
con le altre
in un’umile acquasantiera di corpi.
CIELO
Volta di pittura arcana.
Questo cielo
osserva e sovrasta
i nostri sguardi discosti.
Acqua greve ci inonda
da nubi metalliche
che con ardore nutrono
quel che rimane
dei nostri corpi
conficcati in un ricordo.
CONTATTO
Lascia che io beva
nel silenzio
la tua lucida follia.
Perdona il dolore di sempre.
Rinuncia al delirio dell’attesa.
Gioisci di me
sul fianco della montagna.
A PASOLINI
Amico della polvere
intingi nella memoria dei capelli
un dolente profumo di saggezza.
La luce di smemorati mattini
sfiora il canto della paglia inerme.
Le unghie dell’assenza
si infilano nella rabbia degli alberi.
Ragazzi braccati ti danzano
un altrove maledetto.
Si fa silenzio sul bordo dell’Ostia.
Sospeso, attendi il gonfiore del sole.
Fabrizio Milanese
Esperienza vissuta ed esperienza di lettore si incontrano e si parlano in maniera convincente nei testi qui proposti. Convincente perché testimonia la ricerca di un linguaggio proprio e mostra passaggi di luce e sicura intuizione, di scelte significative: “Questo cielo/ osserva e sovrasta / i nostri sguardi discosti”)
voce felicemente ascoltata nell’ultimo e-Book e che con piacere ritrovo / rileggo in questo risveglio autunnale, lieve e benefica per il sentire, come rugiada sotto il primo sole. Molto interessanti le proposte qui presentate nella loro brevità di tanta ottima poesia italiana ben riuscita del nostro caro Novecento. Grazie per la proposta e spero di leggere ancora questo Poeta in questo luogo a me caro
“Stare nel mistero fecondo” (“Tra gli angoli del tempo” – I Quaderni di Erato) è un verso di Fabrizio Milanese che aveva già attratto la mia attenzione. La fecondità delle cose invisibili e ignote, dell’ineffabile – la parola “mistero” è infatti etimologicamente legata all’aggettivo “muto”, ciò che è rinserrato e non può essere detto – è uno dei temi del poetare che mi sta più a cuore. Sono felice di avere la conferma di questa ineffabile fecondità in queste splendide quattro poesie. L’acme credo si raggiunga nell’ultima dedicata a Pier Paolo Pasolini (nel titolo avrei però preferito il nome scritto per intero – “Pier Paolo” è così bello! -). Qui l’ineffabile si fa miracolosamente memorabile in questi versi:
“La luce di smemorati mattini
sfiora il canto della paglia inerme.
Le unghie dell’assenza
si infilano nella rabbia degli alberi.
Ragazzi braccati ti danzano
un altrove maledetto”.
una voce che si compenetra con la natura e ne fa sentimento umano, immagini nitide e scolpite, che toccano profondo. Fabrizio Milanese in queste liriche e su il VI quaderno, fende con la parola. Grazie
Mi sono piaciute le prime tre, distillate in versi liquidi, e mi sono soffermato soprattutto sulla quarta, fresco di visione del Pasolini di Abel Ferrara. E come Ferrara, Milanese rende con quel ‘Ragazzi braccati ti danzano un altrove maledetto’, quello che in un certo senso abbiamo come rimosso di quella notte maledetta, quella ‘danza’ (Pelosi non era solo) intorno al corpo. Struggente chiusa: ‘Sospeso, attendi il gonfiore del sole.’
Abele
Poesia autentica. Parole materiche, vive di energie: guizzano in slanci metaforici, scolpiscono il mondo, portano altrove dall’interno stesso della realtà. Intenso il ricordo di Pasolini. Complimenti!