Sono state spese milioni di parole sul disco di ritorno dei Pink Floyd. Certo non poteva essere altrimenti data la caratura della compagine inglese e ciò che essa ha rappresentato per intere generazioni. Da par mio, interpreto l’ultimo album di questo gruppo inimitabile come un triplice atto di amore. Quello di David Gilmour e Nick Mason nei confronti dell’amico di tante avventure sonore, Richard Wright (tastierista del gruppo scomparso prematuramente nel 2008) e il conseguente omaggio che hanno voluto tributargli. Vi è l’amore di Gilmour nei confronti della moglie Polly Samson, paroliere di molte delle canzoni degli ultimi Floyd. Ed infine l’amore per la musica dell’intero gruppo che tramite questi nuovi tappeti sonori hanno raggiunto nuovamente il cuore dei loro numerosi accoliti. La cosa meravigliosa di questo disco è il fatto che fa rivivere in note, come mai era successo prima, una persona deceduta da anni. I tappeti sonori e le note dei synth infatti sono quelle di Rick Wright, quelle che egli stesso incise durante la registrazione di “The Division Bell” negli anni 1993-1994. Da quelle registrazioni doveva uscire un altro album floydiano intitolato “The Big Spliff”, ma alla fine non se ne fece più niente. Ma le registrazioni rimasero, poi arrivò la tragica morte di Wright ed il conseguente omaggio di David e Nick all’amico trasportato via da questo “endless river”. Ebbene questo è il canto funebre di Richard Wright ma altresì uno stupendo inno alla vita che i Pink Floyd ci hanno voluto donare. Richard, come in un rito indù, è stato portato, ormai cadavere dai suoi amici sul letto del fiume; e da lì il suo corpo è scivolato via e la sua anima ha iniziato a librarsi sulle acque cristalline ed a illuminare tutti con la sua bellezza, la sua smisurata sensibilità. Questo è “The Endless River”. Potremmo finire il racconto con il ricordo, anche perché mi sembra superfluo affermare che il conseguente riarrangiamento compiuto da Gilmour e Mason, in collaborazione con Bob Ezrin (storico produttore floydiano qui presente anche in veste di bassista) Phil Manzanera, Youth ed Andy Jackson è stilisticamente perfetto. Ma allora è bene rimarcare anche questo: che la pulizia sonora, la grandezza compositiva e l’invenzione di nuove eteree vie musicali ad oggi è una prerogativa concessa solo ai Pink Floyd. Il marchio di fabbrica è sempre lo stesso: ascoltiamo tanta musica perché ne siamo appassionati e la musica ci dona tanto in tutti i suoi stili ma ogniqualvolta mi siedo ad ascoltare qualsivoglia canzone dei Pink Floyd non posso non affermare la loro superiorità nel senso di poter vedere, grazie alle loro volute musicali una scala per il paradiso, una sensazione di luce sempiterna; in breve, poter affermare: “sì, questa è musica da pelle d’oca”.
Basta ascoltare “It’s What We Do”, “Sum” “Anisina”, “Louder than Words” tra le altre per comprendere che i Mozart del Rock sono in grado di comporre suoni così meravigliosi da far giungere le loro vibrazioni celesti anche ai non udenti! Lungo questo corso d’acqua immacolato, profondo, pregno di sensazioni ed emozioni i “ragazzi britannici” hanno voluto dare spazio più che alle parole alla limpidezza e all’ineffabile lucentezza delle note che la loro perfetta alchimia sa ancora dispensare. L’unica concessione al testo sono le parole sussurrate da Wright e Gilmour in mezzo agli adamantini rivoli musicali e l’ultima traccia dell’album scritta da Polly Samson; ma attenzione perché la voce di Gilmour in “Louder Than Words” canta “It’s louder than words this thing that we do louder than words it way it unfurls. It’s louder than words the sum of our parts the beat of our hearts is louder than words. Louder than words.” (È più forte delle parole questa cosa che facciamo più forte delle parole il modo in cui si spiega. È più forte delle parole la somma delle nostre parti il battito dei nostri cuori è più forte delle parole. Più forte delle parole.)” “Go to heaven…Wright”, mentre noi continuiamo a bearci nel volare sulle corde paradisiache di questi autentici maestri della musica.
Fabio Lacovara
Cliccare sul link per ascoltare It’s Wath We Do
Le pieghe più riposte nella creatività di questo Gruppo meritavano l’appassionata didascalia di un cultore “verace”, che ringraziamo .
Grazie a te, Leopoldo!
L’ha ribloggato su lucangreenwaters.