CAMPANE
E’ inutile che battano le campane
se nell’aria non rompono l’inferno
dei siluri volanti in picchiata.
A noi più non s’addice
questo sereno bronzo delle chiese,
ma l’urlo della sirena che taglia
la lunga notte di guerra lontana
e ci riporta, stanchi, ai nostri letti.
A sognare d’un lupo che si stana
e una città di case scoperchiate.
Luciano Luisi
LE AVVERSE CIRCOSTANZE
Le promesse, naturalmente
diverse; negli atti d’ufficio
non si parla di traviamento
né di svincoli, né di autonomie.
Le avverse circostanze
vanno fronteggiate
anche senza capire.
Sono nel gioco del misfatti,
nel morire
che non trova attenuanti.
Dante Maffia
CAMBIAMENTO D’ARIA
Sono troppe le matite,
troppi i palpiti del cardo e del miocardio.
Ti alzi e vedi pianeti così lesi
che hai bisogno di esecuzioni classiche
tra i capelli,
di lumi in qualche modo divisi
per stagioni.
Il sorriso se ne sta sulle ali del falco
poco scarlatto
rientrato per ascoltare musica
e pioggia.
Non si è accorto del cigno appena andato.
Troppe le matite
pochi i toni nel sottosuolo delle viole
che non hanno più archetti.
Ed è troppa la pioggia
la strada per congiungersi alle parti.
Il falco s’addormenta.
Il liutaio non rientra.
Luciano Nota
LA NOTTE
Abita la Notte nelle cose:
ma il cuore più profondo,
il seme è d’oro.
Bruciano le stelle il firmamento
come lo sguardo i vetri alle finestre
che di lontano abbagliano al tramonto
e luce e fonde ignote nel rossore
di un vago fumigare perse e spente
come la mano eterna che le accese.
Fiamme azzurre vibrano lampare
oceaniche, misteriche aporie
multiverse scie di una lettura
che non conclude mai,
come la vita.
Marco Onofrio
A ISIDORO
In memoria d’un cugino che si die’ arie superbe una volta
quando era con noi.
Vengono su rose appena l’acque smuovendo
una brezza lieve con parole che il sereno
affetto fa calibrate a volte io rompo argini
misure salto su a dire distanze in giù o
in su non importa ma subito si riacqueta
il fiume di parole gesti guardature
e riecco a salire le rose con qualche volto
appannato ma per noi vivo ancora inguaribili
rivisitatori di tempi perduti in altri orecchi
appena con un lieve gorgoglìo… ma noi… ma noi
li riponiamo in sesto nei luoghi che ne fiorirono
ecco mi dico o mi ridico avendolo già detto
le volte tra le pieghe dell’anima spiegazzata
che mai trova requie nel sonno ecco è sempre
lì quel filo di momenti con i quali piantavamo
l’esistere passato molto presente nel rombo delle
vite che vaniva oltre i tòppoli è sempre lì
pronto e vivo come non mai spezzato o interrotto
e mi dico rivolto al tuo volto corrugato ecco
fu questo riprendere il filo appena ieri sera deposto
un riprendere la piantagione con l’àire giovanile
il dono dei miei libri che in modi medesimi
e diversi avevano dischiuso altri piani ove distendere
coltivi mi dicevo che pure portavano dei frutti
tuoi che si sarebbero accese fiaccole d’intima
letizia nel fondo del tuo sguardo e avresti detto
parole ai tuoi figli di come si era noi giovani
noi vignaiuoli di loro tralci ed uve.
Dicevo. Tu forse dicevi altre cose. Dicevi forse
chi è questo monte che si alza per abbattersi
sopra di me che sto lungo muri sbrecciati dall’ombra
pago di albicelle pulite e tramonti sereni…
Così dicevi forse e non aprivi i libri dove avresti
veduto non i fastosi orami di glorie ma storie
di albicelle appunto chiare o solo ombrate
di qualche rimpianto e sì e no sereni tramonti
che a volte accompagnano tuoni e terremoti.
Questo forse ti dicevi. Ed hai alzato un maremoto
quell’ultima sera che voleva nutrire d’olio durevole
lampade a tenerle accese tra venti e refoli che
porta la vita… Ho forse anch’io fatto salti in su
non volendo o solo volendo spiegare tra noi
il drappo gualcito di antichi e nuovi crucci
amori vilipesi o forse chincaglierie se vuoi
che credevo tesori e poi vidi calpestare ridendo
e me ne restava la pena. Era l’ultima sera di lume
e ricordi le donne alla fontana o nell’acqua gelida
del fiume che chiamano Calore in autunno
a battere i panni con canti da riporre poi nel lungo
inverno, così io in quel lume forse intento a lavare
crucci nuovi o antichi per riporre netta l’amicizia
nel tempo che ci avrebbe separato, che insieme
vanno fatte le puliture dell’anima con chi la tessemmo
insieme nelle ore albule della giovinezza.
Tu forse dicesti che viene costui a crollare la pace
che ho patteggiato in lunghissimi anni tra
me e me e il mondo guerrafondaio. Sono sue macule
a ognuno tocca le macule proprie mondare.
Questo forse ti dicesti. E cominciavano per le tue piane
ad accendersi fuochi e poi non manca mai
un soffio in questi casi ad estendere l’incendio
e vi bruciavi cose da te costruite rompevi come
rompe e sfrange cose chi invece vorrebbe
volti sfrangere e mozzare teste e invece
fa il vuoto intorno perché ben chiara si veda la sua ira.
Roma, 1 settembre 1998