Poesie inedite di Salvatore Martino

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Salvatore Martino è nato a Cammarata, nel cuore più segreto della Sicilia, il 16 gennaio del 1940. Attore e regista, vive in campagna nei pressi di Roma. Ha pubblicato: Attraverso l’Assiria (1969), La fondazione di Ninive (1977), Commemorazione dei vivi (1979), Avanzare di ritorno (1984), La tredicesima fatica (1987), Il guardiano dei cobra (1992), Le città possedute dalla luna (1998), Libro della cancellazione (2004), Nella prigione azzurra del sonetto (2009), La metamorfosi del buio (2012). Ha ottenuto i premi Ragusa, Pisa, Città di Arsita, Gaetano Salveti, Città di Adelfia, il premio della Giuria al Città di Penne e all’Alfonso Gatto, i premi Montale e Sikania per la poesia inedita. Nel 1980 gli à stato conferito il Davide di Michelangelo , nel 2000 il premio internazionale Ultimo Novecento- Pisa nel Mondo per la sezione Teatro e Poesia, nel 2005 il Premio della Presidenza del Consiglio. È direttore editoriale della rivista di Turismo e Cultura Belmondo. Dal 2002 al 2010 con la direzione di Sergio Campailla e insieme a Fabio Pierangeli ha tenuto un laboratorio di scrittura creativa poetica presso l’Università Roma Tre, e nel 2008, un Master presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.

La tranquilla ossessione dell’oblio

Assordato dal colore grigio delle facce
come dalla musica del vento
una sera che trascorre monotona
da un colloquio all’altro di perduti
e sono qui a commentare la mia storia

Le notti divoravano
corpi incendiati dalla sete
nell’alba che ha tradito
il letale disegno della solitudine

Se mai potessi ritrovare
il grido stampato nell’addome
e coniugare il tempo racchiuso
dal cerchio fatale dell’inganno
e domandare al Caso d’intercedere
presso l’ambiguo comando delle tenebre
per una sosta una dilazione
che permetta alla rabbia di tornare
tra la catena e il piede
in un frammento di cielo
o nel cupo tremore della terra

Se potessi mai frequentare
il tracciato obliquo delle stelle
e intessere un colloquio coi pianeti
incidere le storie dell’abisso
perché la cenere possa dilagare
e il controllo dell’aria nei polmoni
obbedisse a legge di soffocamento
e questo tormento escatologico
costringesse la Bestia ad invocare il Nome
segnato nella pietra

Nel vortice che precede il risveglio
le contraddizioni tutte che sottendono al gioco
l’illusione di obbligare il Fato
a scendere a patti con la verità

Ci siamo smarriti
senza mai un richiamo
una mano che tracciasse un segno sulle carte

Sopraggiunti al termine del viaggio
s’addentra ormai alla quiete
un ultimo chiarore ci è concesso
contrabbandare per parole il silenzio
l’abiura per la fede
il tradimento per la fedeltà
Demolita la stele dei rimorsi
il laccio che avvolgeva ogni pensiero
si acquatta nei ricordi
la sorte che non puoi differire
non ragiona più col tuo sorriso
non impedisce al corpo di volare

Quell’orologio senza più lancette
che vedemmo all’angolo di una strada
non so se Roma forse era Palermo
certifica l’appartenenza nostra
all’inganno del tempo

Ho rotto i vetri della mia cucina
perché possa confondere il cibo col veleno
la minestra gelata nell’acquaio
e ricondurre l’angoscia delle nostre parole
ad un vocabolario indecifrabile
Persino i fiori perdono il profumo
lasciano una melma verdastra dentro i vasi
perde il giardino l’odore suo di umidità
le stelle la loro incandescenza

Guardo all’orizzonte della mia collina
come si ammanettano le nuvole
col rosso e il viola del tramonto
Di fronte alla marea
che simula un grido di bonaccia
puoi declinare i grani della tua catena
la cornice di fango
che segnava la tua la mia sopravvivenza

Dove gli amici ci hanno circondati
ritroveremo quel volto a lungo posseduto
la bianca e oscura e atroce felicità

*

Ho aspettato il tramonto della notte
per salire all’intrico del tuo bosco
essere anche io la rugiada
che svanisce dagli alberi al mattino
Nel cielo assurdo della rimembranza
tutto il nostro catalogo di errori
le pareti sgomente della casa
dove ci siamo rifugiati
ignorando che fosse una prigione

le sue ali ha disteso
nella catarsi che non può avvenire

Avvolgeremo bende intorno al corpo
cosparso di unguenti profumati
svuoteremo di visceri l’addome
per l’incontro sperato con gli dei
o forse sarà meglio
se conserviamo il corpo in formalina
ingannando così l’eternità

La sera accucciato nel mio letto
rileggo distrattamente i miei Autori
in versi e in prosa
immagini e pensieri
precariamente eterni
che hanno disegnato il mio cammino

Mi saranno compagni
fino al giorno che il soffio si addormenti
nella complice resa dell’oscurità?

*

Un canto assiderato tra le mani
il pulviscolo rosso che segna la tua faccia
come ingessata nella dissoluzione
e il fiato non arriva a spezzare
quel dissidio tra la mente e l’anima
il groviglio che ossessiona i tuoi mattini
e il cieco viadotto dell’insonnia
attraversa una strada
intrisa di colpevole speranza

Dove ci porta questo fiume
di acque antiche e pietre levigate?
Dove corteggiano le sue rive
anse e paludi
famiglie di uccelli predatori
che fiondano il corpo dentro la corrente
in un banchetto frenetico di pesci?
Privo di zattera o di barca ci trascina
verso un arrivo sconosciuto
che invano ti ostini a ricercare
e le rive sorridono al tuo passo
occhieggiano i topi divertiti
i corpi usciti dai loro nascondigli

Possiede la sabbia
un’iscrizione mutevole col vento
in un idioma
che un tempo avevi coniugato
Il respiro così lieve del tuo Fato
avrà descritto
una lunga parabola d’insidie
e forse il tuo sorriso
potrà confondere
il cammino che ci fu vietato
e sottrarsi così
all’infamia della morte

Patologia della luce **

Se nel raccordo dell’anima intuissi
una dissonanza del respiro
un brivido disceso a visitare i morti
e l’alienazione verso la quiete
soggiogasse il tuo spirito
e confondesse la luce con la tenebra
se il silenzio
che contrassegna il tuo vagare
toccasse i vertici della dissoluzione
e un suono allucinato di campane
tracciasse l’unico nome che ti corrisponde

Siederai sul fosso che genera la luce
dove si accecano i contrasti
nel cavo delle nostre miserie
e il numero che invoca il tuo destino
sarà scagliato contro la tua bocca
per fermarsi tra l’addome e il cuore
mentre il sangue rappreso
gioca sulle tue pupille
per vedere più a fondo il volto del mistero
il miracolo disceso a cancellare i morti
a diffondere la tenebra col vento
a soggiogare l’ultima nota di un linguaggio
trascritto nella cenere
2013
** Titolo di un quadro di Ennio Calabria ( Acrilico su tela 2012 )

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