
G. Morselli ci porta a riflettere ironicamente sulla Chiesa del duemila, “le vie del Progresso coincidono con quelle della Provvidenza, inutile e dannoso tirarsi da parte, per poi accodarsi ultimi….”
In occasione del cinquantenario della morte di Guido Morselli (1912 –1973), autore indimenticabile e incompreso, uno dei più incredibili casi letterari del secolo scorso, ricordo un suo capolavoro: Roma senza papa, romanzo importante ma sottovalutato. Scritto nel 1966, ma pubblicato, come quasi tutta la sua produzione letteraria, solo postumo, nel 1974 dalla casa editrice Adelphi, è il primo romanzo edito dell’Autore, che aveva insistito per un trentennio di vita a scrivere ed a proporre incessantemente ed inutilmente le sue opere alle più svariate case editrici italiane.
La prima riflessione da fare è quella sulla sostanziale incomprensione (con rare eccezioni) dei romanzi morselliani in generale; la seconda, invece, si concentra maggiormente sul valore intrinseco del romanzo stesso.
I soli volumi editi in vita da Morselli, sono due saggi- Realismo e fantasia, 1947, e Proust o del sentimento, 1943, i quali non hanno visto nel valore letterario la giustificazione per la loro pubblicazione, bensì l’intercessione economica del padre dell’autore.
Sul perché del fallimento in vita di uno scrittore così nuovo, originale, colto e documentato si sono tentate varie spiegazioni; spesso si è data una motivazione politica: Morselli non era schierato, era critico sia verso il Comunismo che verso la DC, rifiutava le ideologie, era credente ma non fervente. Certo era più mitteleuropeo, svizzero o nordico che italiano, pur essendo tutta italiana la conoscenza che aveva della realtà politica e storica di cui ci parla: un outsider insomma.
Più probabile che a decretarne i rifiuti sia stato un altro suo rifiuto, quello dei dogmi letterari.
Morselli fu scrittore scomodo, extravagante, antirealista, contravvenendo così al dogma neorealista imposto dalla critica lukasziana o cattolica dominante nell’epoca in cui scriveva.
I suoi romanzi sono bizzarri, puntigliosi, quasi conte philosophique : “Contropassato prossimo” e “Divertimento 1889” indagano nella Storia alternativa “Il Comunista”, romanzo storico-filosofico, nella trama e nella sua linearità, è decisamente attuale ed interessante inseguendo le vicende politiche e sentimentali del deputato comunista Walter Ferranini immerso nei dissidi interni al PCI e nell’evoluzione della società italiana degli anni ‘60, schiacciata tra l’utopia comunista ed il nascente «neo-colonialismo» nordamericano; “Un dramma borghese”, propone il tema dell’incesto in paesaggio svizzero; “Dissipatio H.G.” è un apologo fantascientifico sul tema della dissoluzione del genere umano, in “Roma senza Papa” si cimenta nella fantareligione o la possibile futura religiosità postconciliare, un romanzo segnato da un umorismo acre e bizzarro, da una visione conservatrice, ironica, seppur non bigotta. Il suo fascino maggiore sta nel sapiente intreccio di storia-invenzione; nel gusto della possibilità ai margini della certezza, gusto coltivato con tenace intelligenza; e appunto nella conseguente contaminazione del doppio registro realistico e fantastico, messo in opera in attenti e scaltriti congegni narrativi.
Guido Morselli è autore difficile da definire, un solitario nella sua vicenda strettamente biografica e nel suo itinerario culturale: vedeva nel romanzo una forma onnicomprensiva e transletteraria, una sorta di «linguaggio egemone» capace di contenere al suo interno gli influssi delle più diverse branche del sapere umano. Allo stesso tempo, lo identificava come uno specchio dei tempi e della società: la migliore tipologia narrativa in grado di rendere lo spirito dell’epoca.
Diceva della cultura: “La cultura dell’individuo è sempre sul farsi o non è. L’uomo colto non è chi sa, ma chi apprende… colto e non puramente erudito è l’uomo che sente il dovere di alimentare il proprio spirito assiduamente, quotidianamente, qualsiasi siano le circostanze in cui si trova a vivere…” Forse proprio questo suo rigore critico, questo suo non scendere mai a compromessi, ha favorito o alimentato le incomprensioni e i pregiudizi sulle sue opere da parte del mondo culturale ed editoriale della sua epoca.
La stesura del romanzo Roma senza papa avvenne a metà degli anni ’60, epoca in cui si concluse il Concilio Vaticano II: fu un momento di importanza estrema nella vita del mondo cattolico, in occasione del quale la Chiesa dimostrò una inusitata apertura verso il proprio popolo, e una disponibilità nuova a sintonizzarsi sui cambiamenti sociali, in un clima di rinnovamento che già vedeva, profilate all’orizzonte, le nubi del temporale sessantottino.
Tuttavia, l’ala più conservatrice della Chiesa cattolica accettò il Concilio obtorto collo e alcuni dei temi avversati sono fondamentali per comprendere il punto di partenza della divertente ‘follia narrativa’ cui si dedica Morselli.
L’attenuarsi di una visione ‘vaticanocentrica’ con l’apertura alle Chiese cristiane diverse, come quelle africane o sudamericane, il riconoscimento delle possibili verità dichiarate dalle altre dottrine religiose, la partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia e, soprattutto, l’apertura di un confronto con l’evolversi del pensiero umano che sembrano contraddistinguere la Chiesa post-conciliare producono nella futura Roma senza papa di Morselli, non solo una ‘protestantizzazione’ del cattolicesimo, ma addirittura un’imminente consonanza con il buddismo e l’ateismo stesso è ormai considerato una religione poiché “se ci sono moltissimi atei teorici, tutti quanti siamo atei-pratici”, e anche l’università Gregoriana, confidenzialmente chiamata dai corsisti “la Gregòria”, ne registra almeno un terzo. A risolvere i nodi ci pensa la psicologia accettata in toto, o psicopatia, per la quale la fede “è un caso particolare della casistica studiata da Charcot o da Freud”.
Il tema. Il narratore è il prete svizzero don Walter, a Roma dopo trent’anni dal suo ultimo soggiorno nell’Urbe, in attesa di essere ricevuto da papa Giovanni XXIV.
L’udienza viene di volta in volta rimandata e nel protrarsi del soggiorno romano lo sguardo ‘gotico’ e conservatore di don Walter ci mostra l’esilarante sconvolgimento religioso e, come diretta conseguenza, sociale, che hanno investito il centro geografico e spirituale della cristianità.
Il Vaticano si è spostato a Zagarolo e ha sede in un motel. Papa Giovanni XXIV annuncia il suo fidanzamento. Tutte le fedi, anche l’Ateismo, sono considerate compatibili col Cristianesimo.
Il celibato degli ecclesiastici è stato ormai abolito e il loro nuovo status di mariti è ben visto dai fedeli di tutta Europa, ma non del tutto in Italia, dove il canzonatorio “fijo de prete” costituisce ancora un insulto fra i ragazzini. Lo stesso papa è concupito da una teosofa indiana, autrice di uno studio monumentale sul neoplatonismo e su come abbia influenzato la mistica orientale. Ma a contenderle l’attenzione di Giovanni XXIV c’è anche la presidentessa degli Stati Uniti, Jacqueline Kennedy, che rivela i propri sentimenti dalle pagine del Time.
E se non c’è stata apertura totale sulla contraccezione perché buoni prelati sono ritenuti quelli che vantano prole numerosa, completa è stata invece la liberalizzazione della droga, non solo permessa, ma addirittura prodotta nei conventi, come quello dei Minori Osservanti di Riefenbach, Baviera, che con i quintali di GR6 venduti, finanziano la loro clinica per malattie nervose aperta gratuitamente ai malati, pur destando qualche perplessità:
“Non discuto – riflette don Walter – ma i bravi frati non potevano seguitare col loro liquore al cardamomo, famoso come l’Arquebuse dei padri Maristi?”
Il papa intanto – “lo dicono agorafobo, scarso di oratoria, timido” – rimanda le udienze, si fa sostituire alle cerimonie e parla un pessimo italiano: lui e il suo predecessore sono stati i primi papi stranieri. In compenso ha istituito in San Pietro, divenuto ormai uno straordinario salone per conferenze all’interno di un Vaticano museale, la ‘sfilata’ dell’ologramma di Paolo VI, a beneficio dei fedeli. Non manca anche un sant’Antonio elettronico e multilingue, ideato da un ingegnere della Siemens.
La Chiesa del duemila morselliano: “le vie del Progresso coincidono con quelle della Provvidenza, inutile e dannoso tirarsi da parte, per poi accodarsi ultimi. […] Incanalare i fenomeni sociali, non ignorarli o combatterli, questa è sapienza cristiana, non l’intransigenza velleitaria. […] L’Oriente, dove l’oppio e la canapa indiana fanno parte dell’alimentazione comune da duemila anni, possiede pure quel profondo senso del divino che in Occidente abbiamo perso da un pezzo […] Sarà un caso ma in Inghilterra, con un 60 per cento della popolazione che ha sostituito il GR6 nelle sigarette alla nicotina, c’è un diffuso revival della fede. Il cattolicesimo ne è il primo beneficiario”.
Il papa latita. Cresce così, nel lettore, la sensazione che l’autoesilio a Zagarolo, sia in realtà l’espressione simbolica di un distacco ben più profondo, avallato dal breve discorso che il papa pronuncerà alla fine, durante la tanto attesa udienza.
In lunghi dialoghi si discute di teologia, su dottrine sia vere che inventate; raggiunge picchi di fantasiosità fantapolitica quando descrive un patto tra il Vaticano e l’allora Unione Sovietica. Ad accrescere il valore del libro, scorci di vita sociale e di politica internazionale e nazionale che testimoniano, oggi, l’acutezza di Morselli.
Sul piano internazionale l’Urss brucia le tappe perché “il cattolicesimo ufficiale non ha atteso di avere un seggio permanente all’Onu per essere una grande potenza, e i sovietici recuperano il tempo che gli ci è voluto per accorgersene” firmando un concordato con la Santa Sede per strapparla all’”abbraccio mortale” degli USA, mentre in Italia “l’iniziativa dei comunisti è in declino. La propaganda divaga, la linea si è fatta attendistica e riformistica. In sede parlamentare si appoggia abilmente il governo, sia contro la scuola laica sia contro il divorzio”.
L’Unità, infatti, si dedica quasi per intero a programmare il tempo libero dei lettori e a commentare il campionato di calcio, il vero interesse nazionale italiano. Proprio quest’ultimo è il motore dell’unico afflato di rivolta sociale sfiorata negli anni ‘70: contro il governo deciso a “deprofessionalizzare” i calciatori e a ridurre i loro compensi del 60 per cento. L’entrata in Europa, ha retrocesso l’Italia a ‘Sud’, svalutando la sua economia e la sua tecnologia alla stregua di “relitti anti-economici di un passato autarchico”, tanto che al Parlamento europeo viene avanzata la proposta di hôtelizzazione dell’intero Paese, perché “da voi, solo il sole!”
“Roma ha finito di essere caput mundi. È una capitaletta di terz’ordine”. “In cinque anni abbiamo perso il trenta per cento delle presenze degli stranieri. Il quaranta per cento per quanto riguarda gli italiani”. “Che vvòle?” si sente. “E che ce resta? Er Presidente de la repubblica. Ce serve assai!” si sente ancora.
Morselli non scrive un saggio storico filosofico – teologico sul rapporto Stato – Chiesa, ma un romanzo, anche se non mancano spunti di riflessione su argomenti tuttora attuali e oggetto di dibattito. Nell’ipotetico duemila di Morselli, il Diavolo è stato messo in naftalina per lasciare spazio alla “cattolicizzazione della psicanalisi”, lo Stato ha appaltato ai Gesuiti la soluzione della “questione meridionale”, San Pietro è diventata sede di convegni e concerti e Roma, dovendo fare i conti con i danni turistici derivanti da una decisione di tal portata, è costretta a sovvenzionare le commesse dei negozi affinché assaltino sessualmente gli indifesi turisti.
Il filone utopistico appare così come il più adatto per fondere le sue pulsioni speculative con la sua predisposizione alla narrativa, ed in particolare alla forma romanzesca. La sapida ironia che aleggia nel romanzo e le tematiche trattate sembravano indirizzarlo verso una probabile pubblicazione del romanzo, soprattutto in virtù dell’interesse sempre crescente che opere di carattere utopico-fantastico sapevano suscitare all’interno del panorama letterario italiano.
Ancora una volta però Roma senza papa verrà ignorato alla stregua dei precedenti romanzi.
L’abilità di Morselli è quella di captare con grande attenzione le tendenze emergenti sia sul piano sociale sia su quello religioso, ed estremizzarle in un futuro – forse prossimo.
La sua cultura teologica, e la creatività con la quale è in grado di declinarla negli anni a venire, unite all’ironia sottile che pervade l’intero romanzo, gli permettono di creare questa proiezione travolgente e paradossale che centrifuga il lettore in un mondo di valori dove tutto cambia.
La visione paradossale che Roma senza papa offre al lettore reca in sé, se non la condanna, la messa in luce delle debolezze che potrebbero minare, come ogni potere temporale, anche l’immenso potere ecclesiastico. Anche se, come sostiene un sorridente Giovanni XXIV, “Dio non è prete”.
A Roma ha lasciato le dispute teologiche sul culto mariano, le ossessioni sul matrimonio dei preti, le allusioni equivoche sulle carezze ai bambini, le laiche intenzioni sul “matrimonio monosessuale”, le fissazioni psicanalitiche di chi confessa i peccati, il celato utilizzo di allucinogeni medici, le convinzioni fallaci di nuove mistiche urlanti, i confronti tra le correnti della fede, i calcoli e i resoconti sugli affari di Stato, la proliferazione di sette e di eresie conclamate, le riverenze di politici genuflessi all’anello e tutte le altre questioni che risuonano nei Sacri Palazzi, rintronandogli le orecchie di giorno e di notte.
“Consideriamo, che se noi siamo preti, Dio invece è qualche cosa di diverso” pare abbia detto ai suoi seguaci più prossimi, quasi a distaccare il Signore da chi ne fa le veci.
Poi, come a mutare apparentemente argomento, pare aver sussurrato: “Delle cose del mondo, il Papa non può occuparsi. Non può trattare”, come a distaccare se stesso dalla Babele d’intorno. In ultimo, a confessarsi, con un filo di voce rimasto: “Non può, per molte buone ragioni. Fra l’altro, amici miei, ammettiamolo pure, per non mostrare la sua incompetenza”.
Anche in questo romanzo, Morselli conferma la sua capacità di affrontare realtà spinose – come già ne Il comunista o in Dramma Borghese – con la freddezza di un ricercatore, il distacco di un analista, la lucida ironia, insofferente alle ‘verità consolidate’. Talmente outsider da potersi permettere una visione dissacrante e disincantata dei tabù contemporanei.
Le varie tappe della carriera narrativa morselliana non comportano soltanto una evoluzione stilistica, bensì le diverse regioni della produzione letteraria che, come tali, devono essere indagate ed esplorate con la dovuta predisposizione al confronto ed al «viaggio» dell’autore, “Un luogo dove le parole non hanno bisogno di urlare per essere comprese, bensì necessitano di una riflessione e di un indagine che le restituisca alla loro corretta forma di meditazione. Eppure, nonostante i suoi slanci intellettuali, la disillusione dell’autore non viene mai meno: “…ma questi miei, sono insignificanti filosofemi…coi quali non presumo<spiegare> nulla. Io credo nella morte, e ne accetto il mistero”(in Realismo e fantasia)
Maria Grazia Ferraris (settembre 2023)
R- Il non-luogo creato da Morselli, dunque, gli permette di trattare con una forte dose di ironia ed un pizzico di polemica molti temi di scottante attualità, risolvendoli spesso in paradossali evoluzioni teorico-narrative, che dimostrano il forte sostrato speculativo presente nella organizzazione tematica dell’autore. Riprendendo alcune temi affrontati in precedenza in opere come Fede e critica, Morselli dimostra una maggiore predisposizione narrativa per il filone utopistico, specialmente nell’ambito filosofico-teologico; ambito che è perfettamente padroneggiato, e che permette all’autore di superare l’impasse autobiografico.
Il pontefice vive a Zagarolo, in fuga da Roma e dai romani, e nel suo buen retiro legge, studia, scrive, compone; qui beve (moderatamente); qui mangia (pochissima carne, i dolci provenienti direttamente da Napoli); qui fuma (in dose appena normale, sigarette Peter Stuyvesant); qui veste, altro dagli abiti chiari imposti dal ruolo o dai colori nocciola, nero, rosso e violaceo dell’ascesa ecclesiastica. Qui ha limitato fino all’assenza i propri impegni istituzionali, cerimoniali, dottrinali. Qui – soprattutto – ha trovato la separazione, il ristoro e la pace dalle troppe vicende che lo sovrastavano, affaticando il grosso corpo della Chiesa cristiana.



