Aforismi di Emil Michel Cioran da “L’inconveniente di essere nati”, Adelphi Edizioni (II)

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Esiste una conoscenza che toglie peso e portata a quello che si fa – e per la quale tutto è privo di fondamento tranne essa medesima. Pura al punto da aborrire perfino l’idea del soggetto, traduce quel sapere estremo secondo il quale fare o non fare un atto è la stessa cosa, e a cui si associa una soddisfazione altrettanto estrema: il poter ripetere, a ogni incontro, che nessuno dei gesti da noi compiuti merita la nostra adesione, che niente è avvalorato da una qualche traccia di sostanza, che la “realtà” è dell’ordine dell’insensato. Una tale conoscenza meriterebbe di essere definita postuma: opera infatti come se chi conosce fosse vivo e non vivo, essere e memoria di essere. “è già passato” dice costui di tutto ciò che compie, nell’istante stesso dell’atto, che viene così destituito per sempre di presente.

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Si può sopportare qualsiasi verità, per quanto distruttrice sia, purché surroghi tutto, e abbia la stessa vitalità della speranza alla quale si è sostituita.

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Con che diritto vi mettete a pregare per me? Non ho bisogno di intercessori, me la caverò da solo. Da parte di un miserabile forse lo accetterei, ma da nessun altro, foss’anche un santo. Non posso tollerare che ci si preoccupi della mia salvezza. Poiché la pavento e la fuggo, che indiscrezione le vostre preghiere! Orientatele altrove; in ogni modo, non siamo al servizio degli stessi dèi. Se i miei sono impotenti, ho tutte le ragioni di credere che i vostri non lo siano meno. Anche supponendo che siano quali voi li immaginate, mancherebbe comunque loro il potere di guarirmi da un orrore più antico della mia memoria.

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Che misera cosa una sensazione! L’estasi stessa non è, forse, niente di più.

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Cos’è una crocifissione unica rispetto a quella, quotidiana, che patisce l’insonne?

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Con l’accumularsi degli anni, ci si forma un’immagine sempre più fosca del futuro. Forse solo per consolarci di esserne esclusi? Sì in apparenza, no di fatto, perché il futuro è sempre stato atroce, dato che l’uomo può ovviare ai propri mali solo aggravandoli, cosicché in ogni epoca l’esistenza è stata molto più tollerabile prima che fosse trovata la soluzione alle difficoltà del momento.

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E’ un errore credere a un rapporto diretto fra il subire delle disfatte e l’accanirsi contro la nascita. Questo accanimento ha radici più profonde e lontane, e sussisterebbe anche se non avessimo la minima lamentela contro l’esistenza. Anzi, non è mai così virulento come nei casi estremi.

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La sensazione di avere diecimila anni di ritardo, o di anticipo, sugli altri , di appartenere agli esordi o alla fine dell’umanità…

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Tutte queste poesie dove non si parla che di Poesia -tutto un poetare che non ha altro argomento che se stesso. Cosa si direbbe di una preghiera il cui oggetto fosse la religione?

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Che cosa fai dalla mattina alla sera?”
“Mi subisco”.

Emil Michel Cioran

 

 

2 commenti
  1. Se c’è uno scrittore che, per la sua vocazione apocalittica e il suo moralismo cupo e in ebollizione si presta alla riflessione sulla filosofia del frammento, del pensiero spezzato, questo è Emil Michel Cioran.
    Fu di volta in volta battezzato “barbaro dei Carpazi”, “eremita antimoderno”, “esteta della catastrofe”, “apolide metafisico”, “cavaliere del malumore cosmico”. Raccontare Cioran significa prendere atto che la sua indubbia suggestione trova punti di forza in una vita per tanti versi ex lege…
    Quanto alle sue riflessioni sulla poesia da ricordare che E. Cioran ha avuto un vero culto per Emily Dickinson, considerata una grandissima poetessa, con la proprietà di sconvolgerlo e commuoverlo fino alle lacrime a ogni rilettura.… “ Perché ella non ha mai smesso di parlare di se stessa, la sua poesia è una confessione diretta, in prima persona. Il poeta oggettivo non esiste e non può esistere. Quei poeti che hanno una coscienza che si esprime al posto della loro finiscono di parlare solamente di ciò che scrivono.” Cioran accetta soltanto due definizioni di poesia: quella degli antichi messicani che la definivano il vento che viene dagli dèi, e quella di Emily Dickinson la quale riconosce la vera poesia dal freddo che le provoca, così glaciale da darle la sensazione che niente potrà più riscaldarla. Detesta i tecnici del verso, peculiarità di troppi francesi, che non considera poeti, tutt’al più letterati, ai quali non si deve chiedere niente, non se ne può sperare niente. Così come la poesia in cui non si parla che………di poesia. “Una poesia che non abbia altro oggetto che se stessa è destinata all’esaurimento veloce e finisce per stancare presto il lettore. Possiamo immaginare una preghiera che rifletta sulla religione? Ma una poesia che si avvicina alla preghiera è superiore sia alla preghiera sia alla poesia. Cos’è, in fondo, la preghiera se non «una massima leggermente sviluppata e snaturata del lirismo»? (Da Esercizi di ammirazione)

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