È possibile impugnare di petto la propria vita e farne poesia? Santi non si nasce, semmai si diventa. Il duro percorso vien reso con la spirale elicoidale, scala a chiocciola che serpeggia l’evolversi ciclico e ripetitivo tramite movimento ascendente progressivo. Il risucchio periodico simile all’alternarsi di giorno e notte è scandito dal via vai di stati d’animo contrapposti, provocati a loro volta dalla visione estatica che poi si protrae nel tempo fino a colmarsi sposalizio mistico. L’esistenza apre un dizionario: in una facciata i sinonimi, nell’altra i contrari, sconsiglia la felicità senza sofferenza e il concetto di bene privato del male. Un indice parallelo varca il destino e ognuno, qualora piroetti punta, assiste alla dilatazione della voragine che lo trapana mentre don Pino Puglisi se la versifica addosso corsia preferenziale, assieme alla leptospirosi dei suoi bambini.
Uomini che muoiono ma che combattono
gente che tace per non essere uccisa,
ma prima o poi finirà,
torneremo finalmente alla nostra libertà.
Senza uccisi e uccisioni,
senza paura di parlare,
senza paura di denunciare.
Il dramma dentro turbamenti di conflitti e violenze e loro penose rievocazioni va testamentario ai posteri per emanciparli consapevoli, capaci di uscire “dalle maree d’orrore in cui siamo naufragati”, indizio sano che accomunerebbe con riserve un prete di quartiere a Brecht. Lottare contro l’ingiustizia può far diventare ingiusti, rispondere all’odio con odio odiosi però è fruibile una misura di compenso più umana ed equa per ricordare i predecessori con indulgenza? Opporsi alle forze oscure è il rifiuto di protezione da parte degli innominabili, aprire un conto corrente dove al primo versamento si contano solo pochi spiccioli vuol dire che il nuovo centro aggregativo sarà frutto di donazioni rintracciabili. Affermare la legalità è guerra verso un ordine che molti accettano perché così è deciso nei secoli dei secoli dal potere e i suoi plurali. Rompere senza indugi il sodalizio sonnolento tra clero locale e lucido occulto spiazza le curie e il malizioso dormitorio consenziente ai favori della “cupola”: l’operaio del Regno, ora colomba corto circuita il segreto di Pulcinella, adesso minatore asturiano di un Fortini decontestualizzato sgela la stanca rassegnazione per sdrucire la “seta di viola e d’argento”. Costruire il modello alternativo durante le età più esposte alla strada per sottrarre al reclutamento il fior fiore dell’intelligenza e delle potenzialità dedicandogli gavette educative è vaglia apartitico, responsabilità culturale non soltanto per evitare che ci si arruoli picciotti, ma pure chierichetti camerieri di un piano infernale che con la marcia del lavoro sporco sale ascensore e svetta cometa assassina. Don Puglisi gambizza al vertice questa pagoda complice, la frana sotto la consapevolezza di Dio partecipe al percorso umano e carità in grado di smascherare la sua sosia relegata a dittatrice vendutasi al peggior acquirente. Recuperata all’orizzonte l’idea divina, don Pino degrada le fondamenta antropologiche dell’impersonale e qui, in calce alla sua testimonianza, risiede l’esempio di salvare dall’estinzione spiritualità e fede per far risorgere speranza feconda nella gioventù, altrimenti la civiltà non conosce futuro. Risponde alla chiamata incarnandosi linguaggio respirante in un’opera che sola riesce a opporsi alle lusinghe concettuali prima che economiche o gerarchiche contro un filisteismo che non va interpretato escogitando alfabeti polimorfi perché significherebbero collusione e accettazione di ruoli che l’onore, a più tentacoli, offre ai conniventi. Non è prete antipiovra, gli manca l’abuso provocatorio catalizzato nelle omelie anonime, è compendio al vangelo, perché da sola la parola di Cristo non basta. Preme osservare l’eversione che una lente attenta non emargina, cioè il “me l’aspettavo” pronunciato con il suo proverbiale sorriso davanti ai sicari. Salvatore Grigoli, dal carcere, varie volte ha ribadito il pentimento sostenendo di rivolgere intenzioni a don Pino, dopo si è detto sicuro che Dio mai gli perdonerà l’omicidio. Perseguita l’immagine di don Puglisi che non fugge, ha davanti qualcuno o qualcosa che non ha volto, chi l’ammazza, uno steadycam emblematico dello spirito e del rapporto fra il divino e l’oltre riva, non settaria idolatria abiurata poi fede riscoperta senza rituali di iniziazione, bensì consorzio lontano tra pezzi disorganizzati dell’intero quadro convivente che ripristina logica laddove sembrano regnare schizofrenia casuale e mistero. Dare la propria vita per salvarne altre bisognose o addirittura quelle che vorrebbero al cimitero i loro eventuali redentori è ostia di ambasceria celeste, come una donna che partorisce il suo piccolo anche se è certa che non riuscirà a goderlo o accetta di rivederselo agente adulto di volontà inscrutabili. Non servono teofanie e messaggi a scadenza che diano ragione a quanto nell’intimo dell’individuo può divenire certezza di trascendenza o sua negazione ma ciascuno sarà liberissimo di dissociarsi. Per il credente Maria, nelle scritture scomodata all’occasione dagli evangelisti causa i rapporti poco idilliaci con suo figlio, in Cana pronuncia ai servi un’unica frase: “fate quello che vi dirà”, cioè riempire d’acqua gli otri vuoti come richiesto da Gesù perché il vino è finito. Quei domestici annuiscono donando lo sguardo radioso di don Pino, ordalia moderna che sfida a piedi scalzi le ruvide pietre del sentiero, pastore che non teme zanne di alcun lupo né Graviano perché agnello insegna a sorridere liberi.
Michele Rossitti