Cinque poesie inedite di Marco Onofrio

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SALIRE

Eppure è sacra l’imperfezione
che ci rende erranti.

Non si può dominare il caos:
la vastità del tempo
sfugge la portata dello sguardo.
Quanti arcani restano insoluti…

Ci sono ore lucide, splendenti:
inattese accendono di nuovo
l’amore che proviamo per il mondo.
E abissi di passione e conoscenza
dove bruciare, e ritornare forti.

Ascolta il grande suono della vita
lo spazio dentro il vuoto, il suo mistero.
Tutto vi è taciuto, non si vede,
ma vibra nel silenzio dell’ignoto
per rispondenze interne
di segni a fuggitive sensazioni.

Salire, sulla scala delle evoluzioni
verso qualcosa di più puro e profondo
in cui specchiarsi interi, ma non morti.
Un volto che non riesco a precisare
l’impresentabile, l’irriconoscibile
al fondo del dolore che io sento.

Si espande senza limite il pensiero
nell’abbandono estatico al momento:
inabissarsi e riemergere, nuovi
dentro il grande mare della Gioia.

E solo allora scivolare oltre l’orizzonte:
agli inizi dell’eternità.

 

MITO TIRRENICO

Il mio tramonto eterno
in riva al mare.
Essenza di tutti i tramonti
che ho visto fin da bambino
incendiare nuvole e atmosfere
le sere lunghissime d’estate.
Rosa dipinto, in cielo, mescolato all’ocra
al giallo al mandarino al verdazzurro.
Avvampano batuffoli magenta.
Splendono ventagli polverosi.
I cirri in viaggio sono
piccoli navigli di passaggio.
I castelli di sabbia, diruti
paiono – controluce – imperi
alla fine della decadenza.
La situazione aggrava ogni momento,
il disfarsi del giorno precipita.
Le ombre, sempre più lunghe,
incidono la porpora dorata.
I bagnini chiudono gli ombrelloni.
I camerieri servono fritture.
Dai tavoli frammenti di discorsi
acciottolio di piatti, onde di risate.
Splendono i bicchieri degli aperitivi
con le farciture e i cotillons.
S’imperlano di brina le bottiglie
dei vini in ghiaccio.
Ma le voci ammutano di malinconia.
È tempo di farsi carezze
dirsi cose oltre le parole.
È tempo di restare ancora un poco
prima di andare via,
e non piangere
davanti al grande omaggio che scompare.
L’arancia rossa indugia all’orizzonte
un attimo infinito e s’inabissa.
L’acqua è una sola macchia
di correnti ferme color perla:
ha l’iride piumata del piccione.
I gabbiani, stanchi, in vasti cerchi
gridano al chiarore che incupisce.
L’aria trema di sonagli silenziosi.
La gloria della luce è gonfia d’ombra
quando tutto crolla nel suo centro
la notte incede. Venere si accende.
E all’improvviso qualcosa accade.
Laggiù, laggiù. In fondo. Al limite
della via di luce. L’oro. Laggiù.
L’oro…

Contemplazione interminabile del senso
affascinante, sempre da pensare.

È questo il mito tirrenico,
parte del mio Mediterraneo.

 

IMPRONTA

Appare e scompare, ruota
dietro il muro lontano del sogno
velario evanescente della terra
isola – Sfinge – montagna:
palazzo di nuvole in salita
teatro ascensionale di espressioni
simboliche, figure
mute evoluzioni.

Ecco la perla rosata del tramonto:
cade nel buco della notte
per il viaggio interno
verso l’alba
dagli estremi confini del cerchio
all’orizzonte
dove trattiene, costantemente attesa
la voce acustimantica del mare
che dice al cielo il racconto eterno
di un fatto misterioso e primordiale.

Ogni cosa al mondo reca questa Impronta.

Hanno le stelle, il ricordo inciso:
ancora ne risplendono il bagliore.

 

IL CENTRO

Il centro irraggiungibile del mondo
è dove volta a volta tu non sei;
tu che ti credi il centro del mondo
e invece sei un relitto in mezzo al mare
di un infinito eterno senza centro…

In tutto questo vuoto
si scompare.

 

NAUFRAGIO E RISALITA

Stanotte c’è stata tempesta.
L’oceano cosmico è passato di qui
scrosciando le sue onde madornali.
Ha strusciato i fianchi sulla costa
il mastodonte, ha spulciato i pini,
i nidi astrali. C’è un detrito, brilla
sulla sabbia: stella abbandonata,
schisto infinitesimo del cielo
sogno di frammento abbandonato
con tutto il mondo dentro.

Il volto del mattino è una medusa.
Sfolgora di oro il grande blu.
Il silenzio fa tremare lo spazio
che assimilando varia
i suoi confini. Bandiere
volteggiano nel vento.
Belano capre lontane
amaramente intorno
a qualche casa.
Ogni respiro è un tuono
che dirompe, mentre la mano
antica spezza il pane.
Le voci infinitesime del suono
tracciano invisibili sentieri.

Salgo lievemente scale d’aria
nel palazzo vuoto della Luce
verso la porta nera che si apre …

Non tornerò mai più.

Marco Onofrio

2 commenti
  1. Queste cinque poesie di Marco Onofrio mi sono piaciute molto. Guarda alla storia senza uscirne, conserva cioè un punto di vista terreno, naturale; non si dissolve nell’estasi ma riesce ad indicarla con concretezza. Complimenti.

  2. “I gabbiani, stanchi, in vasti cerchi
    gridano al chiarore che incupisce.”

    E’ vero ciò che afferma Lucio Mayoor Tosi. In queste magistrali poesie Marco Onofrio non si abbandona all’estasi dinanzi a un tramonto o una notte di stelle, non si annulla nel Tutto, non cede al fascino del panismo, ma contempla con occhio ammirato e ricrea con i versi ciò che ama : il mare, il Tyrrhenus. Notevole, su un altro piano, la poesia “Il centro”.

    Giorgina Busca Gernetti

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