CHICCO TRA STOPPIE
Prodigio è nel pensiero
che valli ammantano di grano.
Tu mi appartieni
gioiosa creatura.
Io ti contemplo
come dio della pioggia,
tu disseti la mia terra,
chicco tra stoppie
mi rinnovi nella spiga.
CREDITORE DEL DOPO
Inconscio e subconscio,
frammenti di echi
flagellano il vuoto.
E tu
al sole fiorisci le memorie
creditore del dopo,
incastoni l’inerzia.
DAL PROFONDO
Vorrei essere ancora
la tua arpa
e vibrare
come all’inizio
del viaggio.
Sciogliere la mia voce
come uccello
che
segue le curve del cielo
a segnare una direzione.
Vorrei essere la tua
parola segreta
quando i sensi
attingono l’intimo.
E tu al timone
tra le stelle
conosci la verità
dal profondo.
IN UN GRUMO DI LUCE
Sfilacci e brandelli,
lacera il leone
la vecchia immagine,
in ululi di gioia
rompe l’impeto d’amore.
Si frantuma in sussulti
la misteriosa geometria
d’appartenenza
si svuota la foresta.
Senza tempo
in un grumo di luce
avanzano bellezze trasparenti.
INNOCENZA
Io so il diverso,
il genio d’apparenza.
Quale punto del mondo
insidiò l’innocenza?
A ritroso
inseguo l’eco
fin dove
scaturì la vita.
VOLEVO QUEL GIORNO
Volevo quel giorno
essere la morte cosciente,
il fantasma rosa della materia,
l’atomo dell’universo.
Sentivo nel suono dell’aria
l’abbandono della risposta.
Un cervello fosforescente
trasforma quel tutto
o quel niente
in piccole lettere
in noiosi ricordi
in aria vibrante
in morte cosciente
in petali che al tempo
consegnano l’addio.
La poesia di Maria Cardi nasce da un percorso di evoluzione spirituale che, nei suoi esiti più elevati, pare adombrare alcuni capisaldi della gnosi. «Quale punto del mondo / insidiò l’innocenza?» si chiede la poetessa di Minturno nel suo recente volume “Sulle rughe del riepilogo” (EdiLet, 2013, pp. 80, Euro 12). La pienezza della realtà divina (quella che gli gnostici chiamavano pleròma) è stata violata da un atto primordiale: proprio lì ha avuto inizio il processo di “discesa” che ha portato alla costituzione del mondo, della materia opaca, del male, del dolore, della morte. Il divenire stesso viene dalla imperfezione (cioè dalla perduta perfezione) dell’essere: «Nella lacerazione dell’innocenza / la morte trascina / tra le montagne delle correnti». Il tempo è fatto di attimi irreversibili attraverso cui l’uomo vive in bilico, sospeso alla sua incerta condizione, avvertendo l’universale periclitante caducità, fuori e dentro sé: tutto svanisce, tutto è destinato a scomparire, come il giorno che lentamente sfuma nella sera. Al poeta è riservato il compito di attraversare le «macerie impastate di terrore» che il tempo ci squaderna in ogni dove, per riscattarle con la consapevolezza, anch’essa d’impronta gnostica, che – malgrado il male – c’è una scintilla irriducibile di luce dentro il nostro buio: la particella divina del nostro puro essere, grazie a cui possiamo tentare la risalita all’origine, alla smarrita eternità. La morte così, a dispetto del suo imperio apparente, non avrà l’ultima parola: «la parola della morte / non guasterà i nostri sogni». Perché nell’uomo – la misera creatura impastata di nulla e di male, ma forte della sua stessa dissolvenza consapevole – c’è qualcosa che nonostante tutto parla di cielo, d’altro e d’ulteriore. E alla parola della morte oppone, il poeta, parole e risposte di vita, rinascita, trasformazione. Il poeta, rinasce, appunto, «tra le pieghe / del nulla»; profetizza «nella spiga del futuro»; scava «presagi», cerca «nel nascondiglio dei segreti»; sboccia «nelle crepe / del sangue»; resuscita «alla verità dell’uomo».
Maria Cardi teatralizza (in una sorta di scenario mentale, focalizzato sulla scaturigine creativa) il problema stesso della poesia nel mondo contemporaneo tecnicizzato, dominato dal prepotere delle holding finanziarie a livello globale; riflette cioè sulle possibilità di r-esistenza della poesia, assediata dal «chiasso di un’epoca volgare» che «frastorna il sublime». Eppure, proprio in quanto risibile e inutile, la poesia oggi può avere un’importanza e un’utilità straordinarie, senza precedenti. Perché la poesia, come nient’altro al mondo, può indicarci la via d’uscita dalle pastoie soffocanti dell’effimero: garantirci le impalcature divine per la riappropriazione del sé, l’amore doloroso e forte per ritornare a casa. Dalla profonda e dolce tessitura noetica della poesia potrebbero venire, per induzione, i modelli cognitivi utili ad una nuova mappatura della realtà, che ormai da tempo sembra latitare ai nostri occhi. La poesia si configura come «giardino che non ha confine»; territorio di transiti, luogo cruciale di metamorfosi, di rivoluzioni; spazio di difesa dai «diluvi» al «grido dei sogni». La poesia ci fa da specchio, nella misura in cui fa emergere il basso continuo dell’esistenza, il «monologo della vita» che «risale», tra le «rughe del riepilogo» e le «pieghe del dolore». Per questo articola un discorso che, quando lo ascoltiamo, dà l’impressione d’essere strano e ogni volta nuovo, ma interno al nostro stesso sentire, remoto e vicinissimo al contempo; perché la poesia, anche quando dice – come indicò Montale – ciò che non siamo, ciò che non vogliamo, riflette suo malgrado il mistero che noi siamo integralmente e non riusciamo a vedere, in quanto parte stessa della scena che emerge allo specchio, immersi nella vita in divenire. È un po’ come quando incontriamo una persona dopo molto tempo, e solo allora ci accorgiamo di quando è cambiata; non avremmo viceversa potuto, frequentandola ogni giorno. La poesia spezza la continuità di questa metamorfosi che sfuma, estraendone frammenti di quintessenza, di lucida e spietata verità. Pone l’oggetto-uomo alla giusta distanza critica per farlo emergere come soggetto di consapevolezza, di autodeterminazione, di sviluppo.
Il progetto evolutivo di una nuova coscienza umana – e la possibilità di contribuirvi, consegnata ad ogni artista entro i mezzi espressivi che utilizza – sta molto a cuore a Maria Cardi, ed è probabilmente una tra le motivazioni consapevoli che la spingono a scrivere. Al poeta è affidato il compito di vedere e far vedere: per questo egli – come il vento, come il tempo – «modella l’invisibile» con un animo che «sventola bandiere di presenze». Il poeta, cioè, è il «vecchio» che, oltre le incrostazioni dello sguardo e l’inerzia delle abitudini, «scardina l’impalcatura» delle cose, facendole apparire e svelandone aspetti inconsueti: è l’alchimista delle epifanie, che si immerge negli abissi dell’esperienza per offrirne «esiti compiuti». È così che «l’alito d’una storia si fa parola»; e la parola è «spasimo» che «affiora» dalla tensione del conoscere, dall’ansia di assoluto. Le composizioni poetiche di Maria Cardi obbediscono spesso a una dinamica di espansione cosmica, che le trasforma in un regesto quasi automatico di fedeltà all’entusiasmo. La predisposizione da cui parte la poetessa per accendersi al canto è «meraviglia che fugge / e ti fa grande / in anima profonda / in veglia silenziosa». La trasparenza della bellezza si rivela ad uno sguardo pieno di stupore, attraverso cui – in un «delirio di inquietudine» creativa – viene raggiunta «l’ottica visionaria / nel volo della luce». Come dire: la più alta dimensione di se stessi alla massima velocità dell’universo; e proprio galleggiando in questo gorgo vertiginoso è possibile agguantare la ferma eternità dell’essere, dentro il divenire. La poesia di Maria Cardi nasce dall’ascolto sopracuto delle cose e trasuda, a mo’ di emanazione organica, dal «desiderio dell’assente» che richiama; è un canto risentito e dignitoso che cerca di lenire, con medicamenti eidetici e sonori, il dolore prodotto da uno strappo antico e immemoriale, che si riproduce all’origine di ogni esistenza. La poetessa si impegna in un confronto serrato con il vuoto (contro cui il cuore «pulsa», tuttavia) e il silenzio (che il battito «infrange») distesi sugli spazi sconfinati, di pascaliana memoria; vuoto e silenzio sono incisi nell’«inquieta distanza (…) dove la notte finisce», e immersi nelle dimensioni del «segreto». La voce ondeggia tra i confini del conscio e del subconscio, flagellata da «frammenti di echi» e «spasmi di ombre» da chiarire. Le dimensioni fisiche e metafisiche vengono collegate e mescolate, come realmente sono, nell’impasto materico delle parole. È dunque possibile raggiungere la percezione dell’eternità dentro l’istante, pur nella consapevolezza che «viene l’alba e il tramonto», inesorabile inganno, a consumare ogni conquista di perennità. La storia di ognuno di noi racchiude e riassume quella del mondo intero, e però viene risucchiata nello spazio: che cosa resterà? «L’attimo ascende e irrompe / dove i sogni disfiorano»: così Maria Cardi trafigge, con precisione chirurgica, il punto di congiunzione fra il tempo lineare del divenire e la presenza circolare dell’essere, a cui tende il poeta – pur abitando, da par suo, l’impermanenza, la provvisorietà. Ecco il processo creativo in fieri (del poeta o del mondo-demiurgo qui non importa) catturato in sovrimpressione dalla lastra fotografica dei versi:
Cade l’arcano vincolo
e si fa suono.
Nel nostro occulto limbo
impiglia
e rapisce il nulla.
E ancora:
L’evento si fa lume
a cercare la trama
in un fiato che tesse
fantasmi.
L’opera è l’evento del mondo che «si fa suono», e del suono che «si fa lume», cioè visione che disvela la trama misteriosa delle cose. La poesia, posta in questi termini, subisce una tentazione trasumanante che non è soltanto tensione metafisica, ma desiderio di oggettivarsi, aprirsi all’inerzia del mondo, accordare il proprio ritmo a quello degli agenti naturali: «Sciogliere la mia voce / come uccello / che / segue le curve del cielo». E quindi lasciarsi andare alla pienezza nutriente dell’oblio: «Sentivo nel suono dell’aria / l’abbandono della risposta». In tale prospettiva il segno umano, nella sua componente di relatività, può rivelarsi a un tratto come orpello, come inutile approssimazione, addirittura come interferenza; e la poetessa arriva ad affermare: «Mi spoglio della parola». Che è come per un pittore dire: dipingo senza colori. Come fa un poeta a scrivere oltre la parola? Che cosa c’è oltre la parola? Forse il silenzio pieno di suoni della realtà significante, la dimensione arcana della vita, il linguaggio eterno delle cose; o forse la nudità stessa della parola, rigenerante poiché rigenerata, condotta alla purezza delle origini, alla gemmea stellare scintilla della sua sillabazione: «Naviga spoglio il canto».
L’itinerarium mentis di queste poesie si configura, così, come un «viaggio alle radici» dominato da un nostos soteriologico di armonia, di naturalezza, di appartenenza al mondo. Scrive Maria Cardi: «A ritroso / inseguo l’eco / fin dove / scaturì la vita». E ancora: «sono acqua / che cerca il segreto». Per questo, dominato dalla pulsione gnostica, il soliloquio lirico si sdoppia spesso in dualogo con un “tu” non meglio precisato, al quale si demanda, e si domanda invano, l’inattingibile totalità: «E tu al timone / tra le stelle / conosci la verità / dal profondo».
Marco Onofrio





Bellissimi questi versi! Maria Cardi riesce sempre a sorprendermi, con la sua poesia così densa, in cui si concentrano frammenti di vita e riflessioni sull’esistenza umana. Nello spazio di pochi versi, il lettore è incantato da atmosfere suggestive, immagini agresti e riferimenti a una sapienza antica ormai perduta. E’ un piacere leggerla!
Per me sarebbe troppo semplice dire …che profondità d’animo. La Luce e la Speranza che si leggono nei suoi versi rappresentano per me riflessioni calde e profonde di una Donna che custodisce dentro la Sua Anima i segreti di una Vita. Italo
Maria, Complimenti!!
Le tue poesie sono molto belle
Maria, complimenti!!
Le tue poesie sono molto belle, esse rispecchiano il tuo modo di vivere, nel quotidiano, semplice e vero.
I tuoi versi rispecchiano una profondità di animo, sempre ricercando il significato della vita che ti affascina dandoti forti emozioni, che tu vivi con amore con le persone che ti sono vicine e ti vogliono bene.
Inoltre l’attaccamento alle tue origini attraverso il ricordo rendono unica la tua poesia.
Maria ha raggiunto ormai la densità della poesia “senza aggettivi”, come diceva Luigi Fiorentino (che con piacere vedo qui ricordato: un grande). Maria Cardi ha la capacità di chiudere in un breve giro di parole, di versi/strofa (e non è il caso di scomodare modelli o maestri, pur evidenti), la sensibilità che è di coloro ai quali è concesso il dono di saper leggere intorno e farsi specchio per chi ancora non sa leggere
Maria Cardi è per me da sempre musa ispiratrice in tutto, nel privato, nella lettura e soprattutto nella poesia… con le sue dolci ed esuli parole, affascina in ogni dove l’attenzione dei lettori che percepiscono i suoi valori e le sue profonde radici nel profondo di ogni strofa…..!!
Da alcuni versi ,non riportati su questo libro, ho estrapolato una frase per me molto significativa che ha dato un senso alla mia vita travagliata. Ve la riporto;;;
Ho creduto nell’amore fin dal primo vagito e il mondo mi ha usato Misericordia,,,Ho capito quanto sia importante mettersi in ascolto dell’anima e non perdersi nei meandri del successo Maria Cardi, poetessa, la seguo da sempre perchè nel non detto mj conserva nella mia libertà di pensiero.
Maria è una dimora pacifica e, nella sua veglia, si lascia irrorare dalla saggezza che la rende costante
tanto da costruire nella sua anima quell’equilibrio tra pensieri e desideri che emergono dai suoi versi.
Questa tranquillità è come un tempio dal quale riesce a far emergere a volte senza verbi a volte oserei dire
senza parole il suo vissuto.
L’umiltà del suo edificio la fa grande e, dalle sue tribolazioni, riesce ad innalzare il suo unico bene che è il
rispetto e la convinzione dell’amore per ciò che la circonda,