Rocco Scotellaro e il cinema: “I fuochi di San Pancrazio”

Il 2023 è un anno di celebrazione per il centenario della nascita di Rocco Scotellaro (1923- 1953), poeta e scrittore lucano, uomo nuovo della politica socialista, sindaco del suo paese, Tricarico, ma anche fine intellettuale immerso tra gli altri intellettuali del suo tempo. Se sono ben noti i suoi rapporti con Carlo Levi e con Manlio Rossi Doria, meno nota è una certa parte dei suoi scritti, quelli cinematografici, e forse non valorizzata abbastanza la sua relazione con il cinema, con le arti sceniche e visive.

L’immersione nel mondo cinematografico, che viveva allora la grande stagione del neorealismo italiano, fu propiziata anche da Gerardo Guerrieri, regista, drammaturgo e critico di origini materane. Secondo un certo racconto, fu Guerrieri a introdurre Rocco Scotellaro alla conoscenza di Luchino Visconti; sempre lui a suggerire a quest’ultimo di far partire Rocco e i suoi fratelli (1960) proprio della Lucania; pure il nome del protagonista non sarebbe casuale ma un tributo al sindaco poeta di Tricarico, scomparso appena trentenne.

Tutte le opere (Mondadori, 2019, nella collana Oscar Baobab), nello sforzo di raccogliere l’intera produzione letteraria dell’autore, restituisce al pubblico anche i pochi scritti cinematografici di cui si ha traccia. Accanto a Crestomazia del cinema, Strali in faretra, Ombre e luci, vi è pure Cristo si è fermato ad Eboli, dall’omonima opera dell’amico Carlo Levi che sbocciò in seguito nel colossal rurale diretto da Francesco Rosi del 1979.

Sul sentiero di tale produzione letteraria volta alla sceneggiatura cinematografica, purtroppo incompiuta, si incontra poi la vividezza di un soggetto carico di azione, I fuochi di San Pancrazio, che partendo dalle vicende di vita di Pancrazio Piratore, il più grande fuochista di Lucania, attraverso una storia di dramma e passione approda sino all’America, aprendo pure uno spiraglio di riflessione sulla dolorosa emigrazione di metà secolo.

E’ dunque un piccolo miracolo che proprio I fuochi di San Pancrazio sia portato in scena presso il Teatro Spazio Tertulliano a Milano il prossimo 11 novembre, sotto la intraprendente regia di Francesco Siggillino (nel cast con lui Martina Barbarito, Guido Gioioso e Biagio Labbate). Tale evento si colloca nella intensa programmazione sociale e culturale dell’associazione “Amici della Basilicata in Lombardia Ets” e si aprirà con la relazione del professor Donato Loscalzo (Università di Perugia) e del dottor Pierluigi Maulella Barrese (Direttore Comunicazione ed Eventi – Consiglio Regionale della Basilicata).

Maria Grazia Trivigno

“Nel largo paesaggio di Lucania, tra le argille desolate e le costiere nude di alberi, i letti bianchi dei fiumi e le distese solitarie, i paesi si levano sulle cime dei monti, lontani l’uno dall’altro, simili a costruzioni aeree, di giorno, a costellazioni ignote, la notte.

Secondo il volgersi delle stagioni e le ricorrenze dei Santi, la monotonia della vita contadina e della fatica di ogni giorno è interrotta dalle feste paesane: processioni, mercati, fiere, fanfare, e soprattutto, immancabili anche nelle annate peggiori, anche quando minori sono i risparmi, i fuochi di artificio che si vedono sorgere qua e là, in questo o in quel paese, in un punto lontanissimo dell’orizzonte, come un saluto notturno e una semplice luce di speranza.

Non c’è paese che non economizzi, che non si sacrifichi per avere i suoi fuochi, dai più modesti ai più ricchi e meravigliosi; e in essi anche il più povero dei braccianti trova un suo momento di completa felicità.

Tutta la vita dei paesi gira attorno alle sue feste di fuochi e non solo i sentimenti, ma gli interessi, i mercati, le relazioni varie con gli abitanti dei paesi vicini e lontani che accorrono alle feste, e commerci, rivalità, amori, matrimoni, usanze antiche e costumi familiari sono tutti legati all’antichissimo e eterno rituale dei fuochi di artificio. Perciò in questa regione così misteriosa e così umana, abitata da contadini e da signori, gli uomini che per eredità di generazioni si tramandano l’arte festiva dei fuochi hanno un’importanza grandissima e una fisionomia singolare. Sono antiche famiglie la cui storia è legata da generazioni e generazioni alle vicende più vive della loro terra ed il loro lavoro artigiano conserva tuttavia qualche cosa di segreto, di arcano, di magico e quasi di religioso. Essi portano nel loro lavoro una serietà profonda, e, quasi detentori di un segreto che è alla base della vita stessa della comunità, essi vi sanno sacrificare, con semplicità, interessi e passioni. I fuochi sono, in un certo senso, la poesia popolare di questa terra e anche la sua secolare saggezza. I costruttori di fuochi sono, in qualche modo, nel loro semplice lavoro artigiano, dei poeti e dei saggi.”

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