Con Gaio Lucilio l’aristocrazia romana entra nel campo della poesia: egli, infatti, è il primo rappresentante della nobilitas che scriva versi. Nacque a Sessa Aurunca intorno al 148 a.C. e morì a Napoli nel 102 a.C. a 46 anni. Proveniva da una famiglia molto ricca di rango equestre che possedeva terreni nel Lazio, in Sicilia, in Sardegna. Sebbene ne avesse la possibilità, non intraprese la carriera politica e dedicò la sua vita esclusivamente agli studi e all’attività letteraria. Gli antichi conoscevano trenta libri di satire luciliane di cui sono giunti fino a noi solo circa 1400 frammenti; si tratta per lo più di brevi versi. Lucilio affermava che il genere satirico era l’unico confacente al suo ideale di vita; partecipava alle vicende del tempo attraverso l’attività letteraria, proprio per questa ragione preferiva la satira alla filosofia. Il fine politico della sua produzione è affermato dallo stesso Lucilio: egli dice che uno degli scopi della sua poesia è quello di indicare i misfatti degli avversari suoi e dei suoi amici e di smascherare la falsa onestà. Nel I libro delle satire Lucilio sviluppa un astioso attacco contro Gaio Lentulo Lupo, un avversario degli Scipioni. Altri pungenti versi sono diretti contro personaggi politici dell’epoca. Gli amici, invece, sono presentati sotto la luce migliore, dalla solida figura morale. Le satire luciliane, oltre agli attacchi politici, sviluppano gli argomenti più disparati. Il II libro descrive il processo intentato dall’epicureo Tito Albucio a Quinto Mucio Scevola, genero di Lelio. L’epicureismo era in quell’epoca inviso alla classe dirigente, sia pechè i suoi precetti erano contrari alla morale tradizionale, sia perché predicava il disprezzo per la vita politica. A motivi di polemica letteraria erano dedicate alcune satire del IX, XXVI, XXVII e XXIX libro. L’oggetto più frequente degli strali di Lucilio era il drammaturgo Accio. Il poeta prende in giro il suo stile pieno di orpelli retorici. Ma i libri luciliani contengono la più grande varietà di argomenti: il III descrive, sotto forma di lettera, il viaggio compiuto dal poeta in Sicilia; compare qui per la prima volta un diario in versi in latino. Nel IV si narra un combattimento tra gladiatori, nel V un pranzo di campagna, nel VI e nell’VIII si trattano argomenti erotici. Le satire di Lucilio, dunque, riproducono la ricchezza e la varietà di motivi di quelle enniane e dei libri di poesia ellenistici. La sua è una poesia di élite, come d’altra parte naturale per un intellettuale del circolo scipionico.
Virtus, Albine, est pretium persolvere verum
quis in versamur, quis vivimus rebus potesse,
virtus est homini scire id quod quod quaeque habeat res,
virtus scire homini rectum, utile quid sit, honesturn,
quae bona, quae mala item, quid inutile, turpe, inhonestum;
virtus quaerendae finem re scire modumque,
virtus divitiis pretiurn persolvere posse,
virtus id dare quod re ipsa debetur honori:
hostern esse atque inimicum hominum morumque malorurn,
cotontra defensorem hominum rnorumque bonorum,
hos magni tacere, his bene velle, his vivere amicum;
commoda praeterea patriai prima putare,
deinde parentum, tertia iam postremaque nostra.
Virtù, Albino, è poter assegnare il giusto prezzo
alle cose fra cui ci troviamo e fra cui viviamo,
virtù è sapere che cosa valga ciascuna cosa per l’uomo,
virtù sapere che cosa per l’uomo è retto, utile, onesto,
e poi quali cose son buone, quali cattive, che cos’è inutile, turpe, disonesto;
virtù è saper mettere un termine, un limite al guadagno,
virtù poter assegnare il suo vero valore alla ricchezza,
virtù dare agli onori quel che veramente gli si deve:
esser nemico e avversario degli uomini e dei costumi cattivi,
difensore invece degli uomini e dei costumi buoni,
questi stimare, a questi voler bene, a questi vivere amico;
mettere inoltre al primo posto il bene della patria,
poi quello dei genitori, al terzo e ultimo il nostro.
(trad. di I. Mariotti)