La poesia spirituale di Onofrio Arpino

La piccola piazza di Castel Gandolfo di notte chiama a sensazione due cose lontane: l’aria sospesa nel miracolo della notte di Natale e il tepore fermo del cuore dell’estate. Per raccontare ‘Cosa resta della notte’ (Bertoni, 2025) mi occorre partire dalla memoria nitida che ho di questo luogo santo, dal rumore di fontana che è il solo ad animare il paese mentre il lago che non si vede manda freschezza dal buio oltre i vicoli e al di là delle vie che incoronano la piazza.

Di santità abbiamo bisogno, di poesia civile pure, poiché il sentire di ciascuna solitudine confluisce in un corifeo cristiano che è la possibile via di salvezza della comunità, in uno con la natura e con la naturalezza del vivere.

Questa naturalità è del resto annunciata dal nome della collana di cui la raccolta è parte, ‘Frattali’, evocazione della duplicazione perfetta e infinitesimale della forma geometrica in natura. Completa tale rimando anche la copertina che riavvolge nelle mani di chi legge un simbolo di infinito.

Onofrio Arpino sviluppa tra le pagine quella che potremmo chiamare poesia di formazione. Dalla ‘Luce sepolta’ della prima sezione emerge stentorea la denuncia della ‘digitalizzazione del desiderio’ (così egli stesso la definisce nell’introduzione), la fotografia chiara del malanno del ‘tempo convivente’ (‘la rassegnazione all’infelicità’, ‘l’odio coltivato’), la frammentazione – non frattale – in corpuscoli di ozio insano, senza senso e senza memoria.

Via via il poeta sviluppa la cura; la ‘Petramorfosi’ che segue ha in sé trasformazione ma pure rimandi alla pietra murgiana, fino alla piena tribolazione notturna che apre la voragine del quesito biblico, ‘sentinella, cosa resta della notte?’, mentre siamo in attesa del nostro ‘treno della mezzanotte’. Ogni sentire di spirito merita rispetto ma il poeta qui accoglie l’enormità del Dio dei Patriarchi, della voce di Isaia. Tutta la silloge è un omaggio biblico ed è cosparsa di costanti richiami e rimandi anche evangelici, il dettato è salmodiante nel ritmo e nel lessico prescelto.

Nei versi si fa spazio inoltre una tassonomia enciclopedica e naturale di vegetali ed esseri viventi, mentre il profumo di erba pepe, menta ed elicriso (‘i profumi onesti/che lasciano spazio agli altri’) sono annuncio didascalico di creazione e perciò ancora una volta annunciano Dio e al contempo richiedono finalmente tempo e cura da riservargli.

È una raccolta faticosa per l’anima, perché ci denuda e ci costringe allo specchio, eppure finisce per essere consolatoria, ci lascia in dote un ‘credito di misericordia’ e parole nuove che sgorgano da un ‘rivo d’acqua viva’. La potenza è nell’invito e nel messaggio più che nel registro affatto lirico, che pure abbonda di anafore. In tanta poesia epigrammatica contemporanea, i componimenti di Arpino si denotano come arie ampie di riflessione, di meditazione, in fondo di preghiera. Una volta terminato e chiuso il libro rimane addosso un sentore di speranza. La scrittura stessa è sentinella, come alcune rose vicino ai filari delle vigne.

Maria Grazia Trivigno

SENTINELLA

Sentinella, quanto resta della notte?

In alto mare avete ucciso l’uccello

sacro dei naviganti e condannato

l’equipaggio al gorgo della morte

Non siete come l’avventuroso Ulisse

che lotta per il futuro

Non siete come Enea

che sconfitto prende il padre sulle spalle

e trova il coraggio di ricominciare

Non siete il padre misericordioso

che riconosce la fragilità del figlio

e lo accoglie in festa

O come il fedele Abramo

che accoglie una proposta

e parte perché si fida

Per secoli è bruciato fuori quel fuoco

acceso per voi dall’inizio dei tempi,

per secoli ha polverizzato foreste

e calendari di lotte sventurate

Siete stati antri d’inferno e corridoi disumani

Le bocche parlavano con sillabe

d’orrore, gli occhi lanciavano sguardi di fuoco

Nella scordanza avete accumulato

infanzie negate fiori recisi terre distrutte

Gli odi hanno intrecciato amori

insani, la malvagità ha soppiantato l’innocenza

L’entusiasmo per alias e procedure

ha offuscato le stelle

la terra il mare

Venere in levata annuncia il ritardo

del sole ma voi mantenete alto l’io

della presunzione che non accetta

il limite umano e il rifiuto della guerra

Non siete nulla di ciò che illumina il mondo

Ciò che resta è nelle vostre mani

*

METTI UNA SENTINELLA

Fu detto “Va’, metti una sentinella”

e io tardi ti scelsi

Stringi la mia mano

come il padre col figlio

Tanti sogni ho acceso

portandoli con me nelle abitudini,

combattendo lo spegnimento

e ora la cenere

fredda aspetta il soffio

amorevole che la infiammi

Stringi la mia mano

sei tu lo stoppino ardente

che dispiega alla fiamma le ali

azzurrine, il manifesto

del martirio per alimento della luce,

io la candela, il principio di consunzione

l’accaduto che deve accadere

per liberarmi della materia

Ti raccomando i seminatori

di odio, chi rende il buio

più veloce della luce

Ti raccomando chi vende

l’ostia consacrata del perdono,

chi coltiva la vanità

dei poeti con gli strascichi

sorretti da clan di ammiratori

Non ti lascerò andar via

Stringi la mia mano:

sei cosa resta della notte,

la D del mio io,

la stringa identificativa

del sì e del no:

tu il focolare, io

l’invitato a rassodare sotto la cenere

le sillabe stupite della rinascenza

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