“A Silvia”: il pensiero fonico della simbologia poetica. A cura di Gabriella Cinti

(Valerio Adami, Ritratto di Giacomo Leopardi)

Come premessa delle seguenti considerazioni vorrei chiarire che ho ritenuto necessario, nella economia del presente contributo, offrire uno sguardo analitico su una campionatura decisamente selettiva e circostanziata di alcuni suoni-pensiero della poesia leopardiana in questa Canzone, affidando ad essa il compito di rintracciarvi un piano semantico rilevante ma meno evidente in un’interpretazione critico- concettuale del testo.

Pertanto – partendo dal presupposto che ogni creatura leopardiana è sostanzialmente sogno e memoria – muoverei, per esordire, dal senso del tempo evocato e ritmato dalla danza della consonante nasale dentale -T- che percorre tutto il testo, tramandola di una segreta cadenza, un ritmo del cuore espresso nelle leggere percussioni foniche.

 A Silvia, come i più sublimi versi leopardiani, risulta intessuta da un fitto intreccio musicale di cui mi pare particolarmente significativa e visibile – anzi ascoltabile – la scansione lirico-speculativa affidata alla ripetuta, echeggiata successione di questa dentale – T-. Essa infatti ritorna anche ripetutamente per ben 48 versi (per 76 volte) – tra le più alte occorrenze, insieme alla nasale alveolare -N-, con cui peraltro spesso si combina, a rafforzare l’intento definitorio – , segno fonico di una presenza memorial-fantasmatica in cui si annodano profonde risonanze affettive insieme alla simbolizzazione archetipica della grazia giovanile e della speranza connessa allo stato  nascente dei sentimenti.

Che l’operazione sia un tentativo di focalizzare la figura femminile con la nettezza di una determinazione espressiva – così perfetta da avvertire il prodigio della assoluta coincidenza tra parola e sostanza – è dovuto, a mio avviso, anche al costante intento di Leopardi di portare sulla scena poetica una visione mentale assai prima che oculare, o comunque sensitiva. Silvia è la creatura intellettuale e sensitiva forgiata dal continuo e vibrante processo evocativo. La risonanza infatti del gesto fonico legato alla nasale -N- ci illumina su questa concettualizzazione lirica che si snoda per tutta la Canzone, processo con cui Leopardi ha quantificato e attivato mentalmente il suo “pensiero” dominante, attraverso un suono più cerebralmente profondo rispetto ad altri (dato che attraverso la cavità nasale esso giunge a coinvolgere l’encefalo in una vibrazione inclusa). Per questa natura speculativa (nel senso più alto del termine e, al contempo, “organico”) Silvia si espande in un portato metaforico in cui il soggetto trapassa a sensi via via più traslati ed espansi. È di singolare rilevanza quanto la presenza di questo fonema domini l’intera poesia, diffuso in essa per ben 84 volte) con l’eccezione di solo 9 versi su 63, e spesso raddoppiandosi e rafforzandosi nella stessa parola o nello stesso verso, con richiami allitterativi che scandiscono la musica del pensiero poetico.

Questa istanza definitoria – contenuta nella frequenza delle nasali – è rafforzata dalla sibilante -S-, flauto anaforico che sprigiona un seduttivo richiamo ad un orizzonte suggerito. attraverso coinvolgenti agnizioni acustiche mentre sortisce l’effetto di un ulteriore apporto determinativo che affianca il protagonismo delle nasali. Per questa spirante occorre inserire un distinguo sui ruoli fonici che essa assume.

Infatti, pare notevole la sua ricorrenza, equamente distribuita tra le 18 volte in cui compare seguita da una vocale e le 17 in cui si accompagna ad una consonante.

Nel primo caso, in risalto è il gruppo – SO- (7 occorrenze, il numero maggiore, di cui due addirittura all’interno dello stesso v. 13)  associato alla dolcezza del suono pensato, “so-navan” , ripercorso nella sua continuità fonico-semantica, “so-levi” o degustato, “odoro-so”,“so-avi”); nel secondo caso spicca in modo emblematico il nesso – SP – , addirittura nel ritorno nella parola “sp-eranza” (ben 4 volte, di cui una nella variante “sp-eme”, in cui notiamo la prospezione del sé risonante nella energia della “e” che dirige il desiderio verso l’appagamento futuro. Il cuore metaforico della poesia, alter ego di Silvia – pulsante di questa potenzialità protesa alla attuazione nelle prime due occorrenze ad inizio testo – si connota poi nelle ultime due citazioni (poste a fine poesia) in un’accezione negativa, in quanto accompagnata da, rispettivamente, “perìa” e da “lacrimata”, a sottolineare un orizzonte destinale ormai perduto.

Non è questo il luogo per sottoporre le altre combinazioni consonantiche a disamina puntuale, ma metterei l’accento, en passant, sul valore di evidenziazione uditiva delle “st-anze” e degli “st-udi” in cui si pongono in parallelo la vita del poeta e quella di Silvia: tale comparazione è ancora più accentuata nella paronomasia (trascurabile la distanza ai fini intenzionali) tra il v. 3 , “sp-lendea” e il v. 18, “sp-endea”, 

Difatti, vi ritroviamo addirittura rafforzata una sotterranea assertività, nella postura anaforica che significativamente assume, ad esempio, nei primi dieci versi della poesia, partendo dalla consonante iniziale di S-ilvia. Pur nelle diverse funzioni fonico-semantiche, si genera un circuito estetico di incomparabile imprinting musical-eidetico, un seduttivo fruscio dell’anima.

L’icona Silvia, definita come una scultura fonica cesellata ad arte in ogni verso, si polarizza idealmente dentro il duplice registro illusione-disillusione, passato-attualità ma è tuttavia screziata dalla soggettività del poeta: essa è fonicamente riconoscibile nella pervasiva presenza della consonante -M- , nasale bilabiale in grado di esprimere la provenienza dal Sé profondo. Tale consonante infatti è quella che possiede il più alto grado di inclusività intracorporea, un suono che viene dal dentro più viscerale e giunge a fonologizzare istanze espressive dell’emotività più intensa, quella dei ricordi più intimi ed affettivi. Non a caso è il suono centrale in “uomo”, “mamma” (soprattutto), amore, ecc. Esso ricorre (49 volte), anche raddoppiato, per ben 38 versi. Tale individualità affettiva trama tutta la dimensione della “rimembranza” e l’afflato memoriale si carica di una più risonante intimità quando il tempo di Silvia e del poeta sono posti, per esempio, in modo speculare a raffronto: la reiterazione di cinque occorrenze della -M- in cinque versi (nel v. 2 e nel v. 17-18) è segno di una personalizzazione, tale da marcare con questa vibrazione interiore simbolicamente sonorizzata, lo specifico del coinvolgimento del soggetto poetante e senziente.

Non meno rilevanti risultano le gutturali – C – e – Q – (34 complessive), spesso in posizione anaforica, presenti sia negli aggettivi dimostrativi ma anche negli avverbi modali o temporali che troviamo ad incipit di verso. È nota peraltro la peculiarità leopardiana di una dialettica deittica di sistole-diastole tra il vicino e il lontano (emblematico il v. 56: “Questo è quel mondo?”) che qui si esprime con volute riprese a distanza di pochi versi se non immediatamente successivi (dal v. 27 al v. 30); infatti li ritroviamo per ben quattro versi consecutivi tutti in anafora – a rendere un ritmo e un ordito echeggiante un pensiero continuativo, che si dilata emotivamente nelle vocali che le seguono – specie la -U- . Questo ritorno consonantico ci testimonia l’impegno interiore di rendere la tensione continua, implicita nel gesto fonico costrittivo di queste consonanti, poste incisivamente in posizione anaforica a ribadire l’esplicita dichiaratività (temporale, quantitativa, qualitativa, interrogativa) e la puntualizzazione concettuale come istanze imprescindibili per Leopardi.

 Da ultimo, mi soffermerei su una costante non meno significativa, dell’espressività sonora della sua poesia, riscontrabile nei Canti, in particolare ne Le ricordanze ma ben visibile anche qui, cioè la ricorrenza della fricativa labiodentale –V-, di per sé comunicativa di un movimento dilatativo. Il gesto fonico -V- articola una lenta e controllata emissione d’aria dalle cavità toraciche attraverso le labbra, come un v-ersare all’esterno. Questo corrisponde alla mimesi di una intenzione psicologica di raggiungere una meta, una tensione finalizzata v-erso una meta pur solo inseguita in modo fantastico.  

Da qui la sua suggestione semantica in direzione del ricordo come del vagheggiamento della bellezza, sempre collocata nel passato: non a caso questa consonante sigla l’imperfetto, prediletto dal poeta, un tempo di durata aperta dentro il quale la vibrazione fonica ci immette, grazie alla più adeguata e aggraziata suggestione sonora, risuonante nell’allusione dei dittonghi in “ea”. Il cammino o v-iaggio- v-olo memoriale di SilVia è scandito da questa presenza (35 volte) spesso a fine verso, in corpo di rima o in sottili allitterazioni multiple: tutto ciò crea il senso di una fluidità allusiva delle immagini poetiche, la loro sonorità estesa e aperta sull’unico tempo preferito di Leopardi, il passato, riassaporato quasi organoletticamente, connotato dall’imprinting musicale della dolce vibrazione fricativa.

Le “pupille” (nel senso etimologico e traslato del termine) foniche – materia di riflessione in un’accezione fonosimbolica analitica – sapientemente e magicamente sparse nel tessuto poetico, rivestono così la funzione di elementi portanti e generatori dell’incanto musicale della sua poesia. Ciò è assai visibile anche qui, in “A Silvia”, in un’esegesi del tutto limitata ma che rafforza l’idea di fondo di una creatura statuaria della mente incarnata nel vissuto reale, emozionale di Giacomo – scandito da una precisa regia sonora – al di là dei biografismi d’appendice, indimenticabile quanto in sé racchiudente per geminazione interna le sue espansioni analogiche.

 E questo processo è ancor più evidente nella riflessione sui valori squisitamente semantici della fonetica leopardiana, di per sé espressiva dei nuclei poetici concettuali, ma ulteriormente carica di livelli stratificati di significazione, non criptati, ma sottilmente fantasmatici e potentemente evocativi.

Gabriella Cinti

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