
A Firenze, autunno 2023, si parla di Laura Battiferri Ammannati (Urbino,1523 – Firenze, 1589) ricordando il cinquecentenario della sua nascita, con adeguate commemorazioni. Di lei è noto il ritratto che le dedicò il Bronzino, meno conosciuta la sua opera artistica-letteraria. Il quadro che oggi si conserva a Palazzo Vecchio a Firenze è un’opera ricca di spunti e significati. Il volto di profilo, i lineamenti spigolosi e lo sguardo fiero, gli abiti quasi monacali rappresentano infatti un chiaro rimando all’ideale maschile cui si ispira, Dante Alighieri, che lo stesso Bronzino raffigurò nel 1532. Stringe tra le mani un libro, il Canzoniere di Francesco Petrarca, e indica due dei suoi sonetti. È il suo mondo letterario ideale: un ritratto straordinario per la figura glaciale, astratta, di una bellezza tutta mentale e letteraria, che affiora come una visione lontana dalla realtà quotidiana, ricostruita intellettualmente più che ritratta nella sua fisionomia reale. Siamo nel XVI° secolo. Nell’epoca della Controriforma si assiste ad una progressiva trasformazione del concetto di femminilità. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XVI° secolo, in coincidenza con lo svolgersi del Concilio di Trento, la discussione sul ruolo sociale della donna assume evidenti connotati di revisione e ripensamento. Le acquisizioni del femminismo primo-cinquecentesco sono ricondotte entro il più ampio dibattito intorno ai collegamenti culturali ed istituzionali fra fede cattolica e società civile. Le figure femminili primocinquecentesche di cortigiane, poetesse, coltissime dame di palazzo, muse ispiratrici di artisti e letterati nella realtà storica del Cinquecento, nuovo stile di femminilità, approfondito nella sua umanità ed affinato nell’arte, risulta assorbito ed assimilato, trova accoglienza presso le coscienze più avvertite del tempo. Difficile, dunque, bandirle: rendevano necessaria la ricerca della mediazione. Occorreva contrastare il predominio di queste forme di femminilità libertaria e antitradizionale, tentando di ripristinare dall’alto una immagine di donna che sembra coniugarsi con quella ( certo misogina ) di stampo medievale perché divenga rapidamente minoritaria.
Si impone dopo il Concilio di Trento, l’idea della perfetta donna schiettamente ‘borghese’, tutta chiesa e famiglia, il cui modello sociale dominerà praticamente sino all’emergere del movimento femminista nel nostro secolo. Questo sconvolgimento radicale dei modelli sociali di femminilità è fedelmente testimoniato da un trattato pedagogico di grande importanza culturale, Della institutione delle donne, di Lodovico Dolce, uscito una prima volta nel 1545 e poi riedito per ben quattro volte nel corso del Cinquecento. La divisione dei saperi sulla base dei sessi è chiaramente distinta. La cultura ritorna ad essere una prerogativa esclusivamente maschile. Il comportamento femminile segnato dalla Chiesa. Era con le donne che gli uomini di chiesa intrattenevano sempre di più rapporti intimi, indagatori, nell’ambito di una religione che aveva accentuato i suoi tratti di scavo interiore, di decifrazione di sentimenti e moti dell’animo. L’ambiente in cui visse Laura Battiferri fu quello mediceo gravitante intorno ad Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I° Medici, che creava un legame matrimoniale- politico con la Spagna, essendo Eleonora figlia di don Pedro di Toledo, vicerè di Napoli, la granduchessa giusta per ricoprire un ruolo così nuovo per Firenze,- il Granducato-, capace di dimostrare quanto fosse saggia ed avveduta nella gestione della corte. L’ingresso di Eleonora a Firenze coincise con la nascita di un nuovo potere e dei nuovi codici della sua rappresentazione, sintesi tra novità e tradizione, dunque di una nuova moda. Come Duchessa di Firenze si pone come modello ideale e simbolo del suo ruolo e del valore che la sua Casata vuole ritagliarsi nel consesso degli Stati europei.
La veste indossata da Eleonora nel famoso ritratto del Bronzino è ad esempio un documento unico di questo genere di ufficialità, dove la personalità di Eleonora è in ombra, per sottolineare il suo rango e la sua forza; è anche una testimonianza delle pregiatissime stoffe fiorentine, lavorate con tecniche sopraffini, realizzate nella metà del Cinquecento. La moda era infatti un vero “instrumentum regni”, per la capacità di comunicazione immediata, ed Eleonora sapeva usare questo mezzo riuscendo ad elevare la giovane corte fiorentina al livello delle più importanti e antiche d’Europa; aveva fatto tesoro degli insegnamenti di Baldassar Castiglione, anche se i modelli del primo Cinquecento stavano diventando minoritari. Nella nuova società svolse un’attività di committenza artistica commissionando opere in particolare a Bronzino, Cellini e Baccio Bandinelli e si fece protettrice della cultura patrocinando la nascita a Firenze dell’Accademia degli Elevati, destinata a favorire lo studio della poesia.
Scrive, a conferma, la Battiferri presentando due sonetti di lode:
«A voi donna real consacro e dono …»
«Felicissima donna, a cui s’inchina …»:
<All’ illustrissima et eccellentissima signora, la S. Leonora di Tolledo, Duchessa di Firenze et di Siena, Signora e padrona sua osservandissima…
La religiosità, la castità, la saggezza sono i valori determinanti. Gli esempi vengono dall’alto.
E così la poetessa Laura Battiferri emerge: è moglie di Bartolomeo Ammannati, (1511– 1592) che è stato architetto scultore tra i più impegnati nella Firenze medicea; amica e corrispondente del Varchi, umanista, scrittore e storico, e del Bronzino che la ritrarrà; scriverà in onore di Leonora Cibo de’Vitelli un sonetto che tratteggia il nuovo ideale femminile:
O di casta bellezza esempio vero,
E di rara virtude ardente raggio,
Donna, che ‘n questo uman cieco viaggio
Ne mostrate del ciel l’alto sentiero;
Voi sola il nostro verno ingrato e nero
Cangiate in chiaro e grazioso maggio
Voi sola, col parlar cortese e saggio,
Rendete umile ogn’aspro ingegno e fero;
Tal ch’io, che vaga son del vostro lume,
Con l’ali del pensier tant’alto ascendo,
Quanto in bianco angel basta a cangiarme.
Indi, fuor d’ogni mio vecchio costume,
Da Voi, dalla stagion novella prendo
Tanto vigor, ch’io sento eterna farme.
Nel 1543 il Varchi ricevette l’invito da Cosimo I de’ Medici a rientrare a Firenze presso la villa della Topaia, che ebbe in dono; fece così parte dell’Accademia fiorentina e si occupò di linguistica, di critica letteraria. Scrisse anche per Laura Battiferri, di cui aveva già dipinto il ritratto, immortalandola un sonetto:
Per Laura Battiferri [?]
Tutta dentro di ferro, e fuor di ghiaccio,
con lenta mano, e con già spento foco,
e ‘n dura scorza alma rinchiusa, in roco
suon chiamo, scaldo, e mansueta faccio;
e poter più del Ciel giugnere al laccio
il Sol tento, e tant’alto il pensier loco,
ch’ogni volo, ogni ardir sarebbe poco,
tardo, e senz’ali, e zoppo l’aura caccio;
tua colpa, e danno mio, folle desire,
che di lei qual di me, falsa credenza,
far promettesti, e ‘n che ponemmo speme?
Or disarmato, e vinto meco, e senza
alcun contrasto, converrà servire
fuor di mercede, ove scampar si teme.
In più circostanze, Laura Battiferri dovette scontrarsi con l’emarginazione ed esclusione determinata semplicemente dal suo sesso. (In occasione delle esequie funebri di Benedetto Varchi non le fu permesso di assistere, in quanto donna, nonostante fosse stata proprio lei ad occuparsene in prima persona. Solo le fu concesso di presenziare in una posizione marginale e celata dietro a una tenda). In più di un’occasione, per essere accettata come poeta e costruirsi un proprio spazio di creazione ed espressione, Laura Battiferri sarà costretta a mascolinizzarsi. Si dedica infatti ad un’attività “maschile”: non è bella, e soprattutto non è madre in un mondo in cui la procreazione era considerato il primo compito di una donna sposata, e la mancanza di prole si configurava come un vero e proprio fallimento sociale. Per entrare a far parte dell’Accademia degli Intronati di Siena, prima donna ad essere ammessa in questo ambiente totalmente maschile, scelse come nome «La Sgraziata»: «[la Battiferri] si è messa nell’Accademia delli Intronati et chiamata la Sgratiata, et altre gentili donne già non hanno potuto ottener tal gratia, ella è la prima, et anche suo marito è intronato». Scelse un nome che prendesse volutamente le distanze dalla Laura petrarchesca, creando, un anti modello femminile e pretendendo di essere giudicata solamente per la qualità dei suoi versi e non per la propria bellezza o per i modi aggraziati richiesti ad una dama del XVI° secolo: rivendica la sua diversità orgogliosamente, definendosi l’opposto rispetto alle graziose signore che la società ammira e canta in versi. Non oggetto di poesia ma poetessa. A Firenze, nella sua villa di Maiano Laura Battiferri organizzerà un vero e proprio salotto letterario a cui prenderanno parte poeti, scrittori ed artisti. L’omaggio a Varchi poeta è presente in più occasioni non solo nei sonetti, ma anche in varie delle lettere a lui indirizzate. Un altro connubio artistico importante nella sua vita fu quello con il marito Bartolomeo Ammannati: i loro destini e le loro vicende saranno legati indissolubilmente e li condurranno prima a Roma, poi a Firenze ed infine presso la loro residenza di Maiano: un perfetto sodalizio artistico. Scrivono, progettano, si sostengono e lavorano fianco a fianco e molto spesso i sonetti della Battiferri sembrano anticipare alcune delle sculture che Ammannati realizzerà. L’influenza sulla produzione artistica del marito è rintracciabile, anche nella presenza costante di soggetti legati alla mitologia classica a cui si riferisce sovente all’interno dei suo testi ed anche in alcune delle lettere che portano la firma di Bartolomeo Ammannati. Alla morte, a Firenze, nel 1589, lascia tutto al marito, incluso l’incarico di completare la sistemazione di tutta la sua opera poetica. Il lavoro non sarà mai concluso neanche alla morte di Bartolomeo.
Maria Grazia Ferraris



