di Gabriella Cinti
“SOGLIE” DI FRANCO MANZONI – Recensioni formato francobollo (2012-2024)
Collana Dissensi a cura di Donato Di Poce, Prefazione di Roberto Pazzi, Postfazione di Antonio Carlo Ponti, I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno, 2025.
In copertina, “NYC”, Carlo Bertè, 2013, acrilico su tela, pp.276, euro 15.
Collana Dissensi a cura di Donato Di Poce, Prefazione di Roberto Pazzi, Postfazione di Antonio Carlo Ponti, I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno, 2025.
In copertina, “NYC”, Carlo Bertè, 2013, acrilico su tela, pp.276, euro 15.

Viaggio in un tempo fatto di poesia, scandito da anni in cui gli autori compaiono e ritornano, come tessere di un mosaico composito; in realtà un grande atlante di tanti libri, una moltitudine che si snoda nell’arco di dodici anni di recensioni, concentrate in una stringa ad altissima densità critica. Il desiderio di chi vi si avvicina è di compiere letture diverse, di cui la prima è sicuramente diacronica, per poi affrontare il volume anche in modo trasversale e con focalizzazioni individuali.
Il tratto distintivo è un piglio aforismatico, prestato alla critica, che produce sempre felicissime risultanze ermeneutiche. Come scrive in modo diamantino il prefatore del libro Roberto Pazzi: “un’assoluta e invidiabile libertà di giudizio” lo guida e mostra in modo in modo incontrovertibile: “l’originalità delle proposte, la franchezza del pensiero, sempre disinteressate, sempre tese a illuminare chi stia nell’ombra”. Il tratto altruista ed equanime rende l’autore un modello etico di rara pregevolezza.
Un’operazione intellettuale insolita quanto necessaria per custodire “la memoria in archivio”, secondo le toccanti parole di Antonio Carlo Ponti, il postfatore, perché queste recensioni “andavano protette come un bene culturale” e il loro caleidoscopico insieme acquistasse “le sembianze e il corpo di quella cosa chiamata libro, uno di quei preziosi scrigni fatti di parole e di carta e di inchiostro, che nella loro apparente fragilità sfidano il tempo, più durevoli e duraturi del bronzo”.
Un radar noumenico guida Franco Manzoni dritto nel nucleo dei libri esaminati, una freccia apollinea che senza esitazione punta all’essenza.
Manzoni non pontifica mai, anzi spesso riesce a donarci tocchi di leggerezza, una piuma poetica con cui velatamente si firma, alla stregua degli autografi o ritratti segreti dei pittori rinascimentali, inclusi e mimetizzati nei quadri. Una impronta sottile ma incisiva.
Spesso il profilo richiama un cameo, dove le proporzioni miniaturistiche accrescono la grazia del gioiello. Ogni tassello va al suo posto con una armonia nascosta, frutto di suprema condensazione. Ci si domanda come sia possibile tale sintesi aurea che spesso si chiude con bagliori ermeneutici di una sbalorditiva pienezza espressiva: “sospingere invano pietre verso il cielo, da incompreso e irriso, per farsi sasso vivo” (per Gilberto Isella, 2013), o, come per Alberto Toni, “angelo trafitto dal tempo” (2013).
O, come dirà in modo altrettanto folgorante a proposito de “la medusa eterna” di Antonio Bux (2014), “l’unico animale conosciuto capace di tornare allo stato iniziale e ricominciare di nuovo il flusso della vita”, e ancora di lui parlerà nel 2015, sigillando una ossimorica quanto originale e potente visione del mondo: “l’autore cerca di catturare l’estetica della verità ad occhi chiusi, visione che supera la cecità del presente”.
Non vi è solo il tratto aforistico connesso alla stringatezza dei testi; in ognuno di essi e in alcuni in modo speciale, Manzoni mette a fuoco l’anima dell’uomo, oltre che della sua poesia: “L’autore è guidato da un’ombra” come dirà di Roberto Amato (2015).
Immersione nell’autore, e al contempo, alta concentrazione del messaggio poetico e delle epifanie affioranti nel libro: “la donna amata che abita l’infinito pieno di luce” (ancora per Roberto Amato).
Può trattarsi anche di un lampo esegetico o di una valutazione che, con pochi aggettivi, illumina tutta una poetica: “scrittura realista, genuina, etica” (per Luca Ariano, 2015) o con penetrante concisione: “conscio di essere un angelo degenerato come tutti gli uomini, in attesa dell’assoluto” (per Matteo Bianchi, 2015).
Vi sono poi “ritratti” in cui Manzoni pone la sua parola critica con tale prossimità alle raccolte presentate, da sentire una aderenza profonda e illuminante (“l’autore fa uso con naturalezza di una scrittura martellante, ossessiva, dove l’io e il dio tendono a sovrapporsi, si confondono al suono eversivo di una preghiera tesa, eroica, dolente” (per Bruno Lugano, 2015).
Spesso, inizio e fine della recensione sono segnati da queste geniali definizioni, e talvolta le prime righe accendono una luce da bengala sul poeta che viene commentato: “si entra nel cuore del magma, nel ventre della lingua” (per Tommaso Ottonieri, 2015).
Quello che permanentemente scintilla è la lucidità acuta e diamantina con cui coglie il fondamento di una poetica, specie quelle di grande impegno intellettuale: “l’autrice compone aforismi nella accertata latitanza di una divinità, quel demone irretito dal nulla che non sa ridestare la civiltà occidentale dalle tenebre” (per Lidia Sella, 2015).
La militanza poetica, intellettuale e umana di Franco Manzoni traspare chiaramente dalle tante analisi che chiamino in causa l’impegno etico e persino civile e politico nel senso più espanso del termine. Quando gli autori – e non è inconsueto – toccano tali temi, la sua voce si fa ancora più limpida e perentoria e vi risuonano corde di vibrata passione che accorano. Questa generosa posizione non è così frequente nei critici letterari ma rende più acceso e radicale il suo afflato umano verso la giustizia e la fraternità.
La sua collera verso l’abuso dei “poteri forti” trova ogni volta parole nuove, conservando l’intensità della sua indignazione e il valore di un’alta testimonianza morale: “resistere è lottare contro falsità e ingiustizia” (per Enrico Macioci, 2018), “nel coraggio di denunciare le involuzioni autoritarie dei governi” (per Monia Gaita, 2024).
Vibranti sono le corde di Manzoni quando si riferisce alla “poesia civile” di autori come Pasquale Vitagliano, di cui sentitamente mette in rilievo la poetica del suo impegno: “una fervida scrittura civile in versi che Pasquale Vitagliano utilizza quale metodo di lotta contro le ingiustizie e l’assenza di civiltà” (2017). Un autore, quest’ultimo, di fronte al quale Manzoni non esita a parlare di “esistenza umana ormai in sfacelo apocalittico” a cui il poeta riesce poeticamente ad opporre la “speranza non ancora del tutto spenta di scovare un’uscita di emergenza” (2020) e, ancora, con crudezza esplicitata, estrema come le verità con cui si misura: “si combatte con una sola pallottola in canna sperando in un indizio di luce” (2023).
Venendo a un altro poeta engagé, Renato Pennisi, comprendiamo come il suo sdegno sia fuso in un pathos quasi pedagogico con cui riscattare “la dolente dimensione umana” (2019), in tutta la sua drammatica realtà: “tiranni che sostituiscono tiranni, caos di popoli, il declino di un’Europa inane, fragore di macerie su cumuli di macerie” (2024) e, alla luce di tale visione, capiamo come egli “guarda il passato per capire le distonie del presente” (2021).
Ciò non toglie naturalmente che nessuna poetica o tematica lo trovi estraneo perché una vocazione – oserei dire – enciclopedica, unitamente alla sua cultura vastissima, gli permettono di muoversi agilmente nei sentieri più disparati dello scibile umano che possa essere trattato in poesia o nella scrittura in senso lato.
Altrettanto netto e fulmineo è il suo individuare nitidamente le ascendenze letterarie dei poeti, con precisione impressionante, anche quando le influenze sono lontane e non provengono da dichiarate genealogie.
La stringa poetica diventa spesso un piccolo spazio teatrale dove i protagonisti, spesso appartenenti al mondo animale, ci compaiono nella loro epifania di una nominazione che ricrea francescanamente l’affollata creaturalità di alcuni libri: “l’autrice invoca la rinascita del cosmo e dei suoi miti, sullo sfondo di paesaggi popolati da folletti, demoni, draghi, boschi di betulle, cascate, paludi, laghi, volpi, albatri, nibbi” (per Alla Gorbunova, 2016).
Lo sguardo panoptico di Manzoni accoglie senza esitazione la presenza del quotidiano, palestra di vita, per molti imprescindibile: “frammenti del quotidiano, ove interagiscono persone, cose, situazioni, animali” (per Tiziano Rossi, 2021), e luogo di trasformazioni salvifiche: “alternando ritmi tra sogno, memoria e quotidiano Mariagrazia Galasso […] eleva una lauda alla Natura in attesa dello sbocciare di mimose, anemoni, rododendri” (per Mariagrazia Galasso, 2023).
Per rendere pieno conto di un talento critico in grado, come si è detto, di tracciare in poche parole l’intera sostanza di una raccolta, leggiamone alcuni probanti esempi, come questo per Gilberto Isella: “Una scrupolosa indagine filosofica per tentare di capire il cosmo, l’io interiore e l’eros” (2016); qui ogni termine è calibrato millimetricamente e abbraccia in pienezza tutti i campi tematici presenti.
Talvolta poi, il tocco definitorio stringe in una sola asciutta frase il nucleo ultimo del libro: “Il sogno di un possibile incontro fra carne e infinito” (per Evaristo Seghetta Andreoli, 2016), o, ancora: “un percorso iniziatico […] fra i territori opposti di assoluto e quotidiano, armonia e angoscia” (per Luigia Sorrentino, 2016).
Continuando questo cammino temporale in cui i suoi testi sono disposti ancora in successione, vi è da rilevare come l’autore riesca a compiere con naturalezza e precisione al contempo, due diverse operazioni. Da un lato, si immerge nel nucleo delle raccolte, fino quasi a vederle da dentro, con una capacità rarissima di mimesi d’anima, di visione pineale, dall’altro riesce a porsi in una prospettiva spaziale, in cui tutti gli elementi sembrano colti da una visione quasi atmosferica, quella che ne coglie tutti i dettagli.
Questo duplice approccio rende l’ermeneutica delle sue Soglie vere aperture di grande compiutezza critica.
Una solida sapienza conferisce alle numerose considerazioni quasi epigrafiche – cui la forma ellittica accorda ancor più vigore – la fisionomia di summae telegrafiche e perentorie. Per citarne una, in un criterio puramente campionativo: la natura come entità dialogante. Mentre la donna è in continua metamorfosi. Si fa albero, animale, vento, luce”, (per Rosalba De Filippis, 2017). Oppure: “la trasposizione angelica dell’elemento carnale femminile come perno su cui ruota la speculazione metafisica. Quasi fossimo all’inizio di un rinnovato Stilnovismo” (per Mauro De Maria, 2017).
O, in mimesi incandescente, adeguando il climax critico alla turbinosa “voce seducente”: “un tracciato incandescente senza confini […]. Forgiata in estasi, tormento, amici, gaudente eros dionisiaco” (per Isabella Monti, 2017). Oppure, andando all’essenza con rapidità vertiginosa: “l’autrice delinea la presenza metafisica di una luce, che precede la nascita. Dolore e solitudine sono i gradini dell’approdo terminale” (per Luigia Sorrentino, 2017).
L’attributo della solitudine è tra i più frequenti tra i vari poeti, a testimonianza della sua inevitabile presenza nei destini artistici, disposizione metaforica o reale e specifico vissuto, quando non “scelta esistenziale” (per Valentina Colonna, 2016) che lambisce l’uomo come un’onda ricorrente: “la risacca della solitudine” (per Ezio Falcomer, 2022) o si pone come sfida ontologico-evolutiva: “in perpetua solitudine l’uomo può salvarsi solo grazie alla metamorfosi” (per Luciano Nota, 2021).
Questi “attraversamenti” poetici di Manzoni hanno tuttavia delle costanti, pur nella particolarità dei poeti recensiti, di cui quella di maggiore centralità si rivela la condizione esistenziale del poeta, generalmente dominata da un “male di vivere” – una fragilità di fondo – che sembrano essere delle costanti, anche in generazioni diverse tra di loro. Di fronte ad esso, Manzoni si pone in modalità ancora duplice, da un lato ne indovina, con ineccepibile esegesi, le sfumature individuali con cui tale inquietudine dell’anima si declina, dall’altro, con delicatezza, pudore e luminosa empatia, mostra la sua vicinanza – da vero e nobile poeta quale è lui stesso – verso le sofferenze intime espresse nei versi.
Ma anche nei confronti delle infinite forme del dolore, dell’anima e del corpo, delle malattie, Manzoni trova sempre nella esattezza della parola la dignità della denuncia, persino del grido disperato “prigioni quotidiane ove si urla in cerca di spiragli” (per Giovanni Laera, 2023).
Ciò nonostante, non tralascia di evidenziare quella tensione verso l’oltre come visionario quanto utopico riscatto dello status umano (“l’autrice tesse l’attesa di un eventuale “oltre” come sublime azzardo del pensiero”, per Marica Larocchi, 2018) o, dichiaratamente: “la pulsione verso l’essenza metafisica” (per Alberto Toni, 2023).
Unita a questa ricerca, vi è anche quella, così consona alla poesia, della interrogazione di senso dell’esistenza, colta in modo a volte acuminato: “opera lancinante, dove la parola si svincola dal rapporto spazio-tempo con uno sguardo oracolare sugli orizzonti dell’Essere e del senso della vita”, (per Massimo Scrignoli, 2019), “invocando […] risposte sul senso della vita” (per Matteo De Albertis, 2024). O ancora, su uno sfondo sotteso del montaliano “terrore d’ubriaco” sul vuoto dell’esistenza: “alle spalle non esiste più nulla da vedere né davanti qualcosa da capire” (per Renato Pennisi, 2019). Dal singolo slancio fino alla dedizione assoluta, filosofica e animica, di alcune voci poetiche di particolare sensibilità: “ebbra d’ansia e tensione verso il trascendente, la sibilla esplora mito, alchimia, esoterismo, cabalà, matematica, in un dualismo temporale che va dall’inizio all’eterno” (per Marina Petrillo, 2024).
In questo sapiente e capillare catalogo dei sentimenti e delle visioni degli autori, Manzoni non manca neppure di mettere in luce quelle prospettive personali, ma apprezzabili anche per la loro fiducia esistenziale: “l’autrice costruisce un canto di speranza collettiva e accettazione dell’esistenza dinanzi allo scorrere degli eventi”, (per Lisabetta Serra, 2018).
Prodigioso è anche il suo riuscire a cogliere, pur nella estrema sintesi del testo, anche gli aspetti stilistici peculiari di vari poeti: “utilizza uno stile ritmico vicino all’oralità, che ben si adatta a performance teatrali”, per Julian Zhara, 2018 o definendo, per Fausta Squitriti, (2018) “uno stile frantumato in versi brevi e intensi”. O, ancora: “una scrittura diretta, ritmica, filosofica, musicale” (per Zara Finzi, 2019), “scrittura magmatica, raffinata, visionaria e istintuale in bilico sull’abisso dei sensi”, (per Gaby Ramsperger, 2019).
Vien da dire che l’orizzonte tracciato da Manzoni non esclude nulla dell’umano, anche nei suoi aspetti materiali – persino gastronomici e culinari – e sicuramente le passioni e l’eros sono ben rappresentate da varie raccolte, di cui il critico mette in luce la valenza esplicitamente sensuale: “Eros ferino e umano in salsa partenopea” (per Anna Marchitelli, 2018), “solo l’Eros può alleviare la percezione di vuoto e solitudine” (per Gisella Genna, 2020), “le sue liriche spaziano da eccessi di gioia e desiderio erotico a melanconia, dolore, solitudine, angoscia” (per Florbela Spanca, 2023), “l’energia primordiale dell’eros” (per Laura D’Angelo, 2023). Sono i molteplici connotati dell’umano sentire, cui Manzoni dà piena voce, senza alcuna reticenza, ma con composta naturalezza ed eleganza espressiva, che peraltro è una precipua cifra della sua scrittura, non solo critica. Sul versante del sogno e dell’utopia, fa emergere gli aspetti più bucolici e panici della natura, da sempre congeniali al poeta: “in poetica armonia col paesaggio naturale, Vincenzo Corraro […] intercetta il segreto dell’orizzonte eterno” (2024), “il linguaggio emozionante della natura” (per Matteo De Albertis, 2024), “inno alla forza della natura che si autorigenera” (per Monia Gaita, 2024).
Ma dell’uomo è presente anche la sua natura necessariamente limitata e transeunte, che confligge con gli aneliti a uno stato superiore, anche di contatto con il divino. Ecco che tale consapevolezza si esprime in toccanti espressioni, che mettono a fuoco le perenni e coraggiose aporie: “ubriaco di Dio, il poeta combatte ogni giorno contro la finitudine corporale, che va comunque accettata” (per Alfredo Alessio Conti, 2023) o, ancora, con densissima e aurea brevità, “in versi rastremati e mistici […] misura il senso della finitudine sul dolore della carne” (per Eugenio Mazzarella, 2023) o, in suprema sintesi: “una radiografia poetica dell’eterna finitudine umana” (per Riccardo Delfino, 2021).
Tale condizione evidenzia in particolare il corollario dell’assenza, quando non sia riscaldata dalla consolazione spirituale della fede o da una prospettiva escatologica: “dare un senso al vuoto con la vertigine della visione” (per Carmelo Pistillo, 2014), “il vuoto assoluto incombe” (per Silvio Raffo, 2016), “vivere il vuoto incolmabile dell’assenza” (per Guido Garufi, 2017), “alla ricerca dell’anima e di un balsamo contro il vuoto dell’assenza” (per Alberto Toni, 2019)”, “la vita declina verso il vuoto” (per Evaristo Seghetta Andreoli, 2020).
Gli universi poetici sono talmente ricchi di temi che, in questa sede, è palese che se ne possano compiere solo veloci e suggestive evocazioni, lasciando al lettore il piacere e il compito di immergersi nella ramificata foresta di questa variegata messe letteraria.
Ma vi è un tema – che è forse la scommessa per eccellenza affidata alla poesia e all’arte – quello di esprimere l’indicibile -, in apparente contraddizione con la disposizione espressiva della parola, ma in virtù di quella insita tensione verso il sacro e l’assoluto:
“Silvia Venuti si pone all’ingresso della strada che conduce al sacro” (2017), “un canto dell’indicibile verso amore e luce” (per Raffaella Fazio, 2019). Mondi visionari si offrono: “ciò che viene scritto lascia quasi trapelare l’indicibile e supera i confini della pagina” (per Bianca Battilocchi, 2021), “rispettando il sacro, il mistero, l’ignoto, si chiede se sia possibile ascoltare la risonanza del mondo, quell’esondazione dei sensi verso un Aldilà plausibile” (per Niccolò Nisivoccia, 2021), una “inquieta ricerca verso indicibile e metafisico” (per Giovanni Gastel, 2022).
Lo slancio poetico che anima da sempre la poesia, non può non coniugarsi con l’altro grande elemento speculativo e lirico, la dimensione del mistero – che ritorna con grande frequenza negli autori e nei loro commenti, a riprova della sua centralità, quando si sofferma, per esempio, sull’ “incapacità di capire il mistero” che caratterizza il “commovente, straziante bilancio esistenziale in versi” di Pasquale Del Cimmuto (2015). E, ancora sul mistero: “una scansione musicale per dar voce a quel mistero che è la vita” (per Davide Monopoli, 2017), “toccare il limite dell’invisibile” (per Silvio Raffo, 2018), “percepire con lo sguardo interno il mistero dell’universo insito nella forza della parola” (per Michele Porzio, 2020). Una tale intensità ermeneutica che – in sole quattordici parole – traccia un affresco densissimo: molto di più di pure considerazioni critiche. Qui si assiste a una prodigiosa geminazione poetica, frutto della finissima sensibilità di Franco Manzoni, capace di dialogare in poesia con la poesia. Dono supremo.
E, da ultimo, ancora su questo argomento: “Restano impenetrabili i misteri da svelare tentando con ironia di carpire verità elusive grazie a un nugolo di serrate domande” (per Lidia Sella, 2021).
Non è un caso che il riferimento a questo tema sia fortemente presente anche nella copertina del libro, un’opera pittorica di Carlo Bertè intitolata “NYC” dalle suggestioni dechirichiane, in cui un manichino duplice contiene uno spazio cavo che sembra uno squarcio su un nero abissale, sullo sfondo di una turrita quanto straniata metropoli: il dilemma di un’umanità alienata, in cui la simbiosi di coppia non attenua il dilemma tra vuoto esistenziale, solitudine di fondo e inquietante società di massa.
Verrebbe da concludere questa carrellata su un’opera così composita come Soglie soffermandosi su un motivo fondamentale che illumina la dimensione salvifica della parola poetica o della parola tout court: “si cerca una mappa per l’eventuale salvezza” (per Flaminia Cruciani, 2018), “solo la poesia è la medicina per infondere nuova energia alla fragilità di carne e anima” (per Elisa Ruotolo, 2020) o, ancora, “utilizza la poesia come farmaco per salvarsi da se stessa e da un mondo che non sa accettare” (per Maria Grazia Nappa, 2020), “in versi toccanti Anna Maria D’Ambrosio […] intesse un salvifico dialogo con le piante”, In fondo, un positivo e nitido messaggio proviene anche da affermazioni come queste: “basta un seme per sperare ancora (per Giancarlo Baroni, 2020), “un grido di speranza verso il futuro” (per Laura Corraducci, 2020), “si va in cerca di conforto: la speranza un giorno di venir presi per mano” (per Alberto Toni, 2023), “vocazione verso la forza inarrestabile della parola, ancorata a ricerca di verità” (per Monia Gaita, 2022).
Perché speranze e parole sono forse solo gli unici “anelli che tengono” – per ribaltare in positivo Montale – focalizzandosi su una “tenuta” ontologica della parola poetica che raccoglie, come una grande arca di Noè, i desideri e le illusioni umane.
Tanto maggiore è il valore di fondamento e di baluardo nei confronti del nulla incombente, che la poesia, nella panoramica presentata, assume la valenza di un viatico di sopravvivenza in un mondo in cui “si procede verso un nulla indistinto” (per Luca Raul Martini, 2018) o, quanto meno, in alcuni casi, “di testimonianza terminale” (per Evaristo Seghetta Andreoli, 2020) o “al limite dell’abisso”, “quando la mente è ormai preda della vertigine finale” (per Antonio Spagnuolo, 2020). Tema, questo, del nulla, poetico ma non meno filosofico, che Manzoni scandaglia con particolare delicatezza e vicinanza discreta agli autori, pur nella asciutta ed obiettiva registrazione di tali dolorosi assunti: “In sintesi ogni creatura è puro nulla, senza fine” (per Paolo Ferrari, 2016), “l’uomo sembra non avere scampo, immerso nell’abisso del nulla” (per Massimo Pedretta, 2016), “si procede verso un nulla indistinto” (per Luca Raul Martini, 2018), si diventa un nulla in sola solitudine (per Federico Pinzetta, 2012).
Ancora una volta molteplice si mostra la qualità della parola, dalle sue possibilità di sondare il metafisico, di protendersi verso il sacro e il divino, a quella di essere depositaria della memoria, dono di quella dea greca Mnemosyne, che ci sigilla come umani in quanto esula dal tempo cronologico e consente di travalicarne i limiti, sia in senso individuale che collettivo. Il sistema memoriale si rivela più che mai centrale anche in poesia, anche quando se ne lamenta il naufragio: “la memoria potrebbe resistere anche in quell’oltre atteso e incomprensibile” (per Elena Salibra, 2015), “radiografia dell’anima sul filo della memoria” (per Adriana Libretti, 2019), “non resta che affidarsi alla memoria per reagire con speranza al degrado etico della società contemporanea” (per Pasquale Di Palmo, 2020), “la forza archeologica dei ricordi” (per Stefano Pini, 2020), “la memoria è una spia lucente a cui attingere” (per Alida Airaghi, 2022), “il domani non deve divenire un ricordo inesistente. Necessita allora fare nodi al fazzoletto, dimenticare i sogni, nutrire la memoria” (per Maurizio Gavinelli, 2024).
Del suo valore fondativo leggiamo: “la parola è il principio dei sensi, memoria e tormento, pensiero che esamina la realtà nel suo folle perpetuo divenire” (per Antonio Bux, 2024).
Questo conferire sostanza ontologica, calore e pensiero all’operazione mnestico-poetica, si staglia con cristallina evidenza nelle istantanee critiche del libro, ad indicarne un loro compito umanamente deontologico.
Pure il tema della rinascita, con quelle ali che solo la poesia e l’arte possono prestare, scorre nelle tante testimonianze e Manzoni non manca di coglierle e di amplificarle, per quel messaggio di speranza che si annida, come luminosa possibilità e incancellabile desiderio, anche nella più desolata delle visioni.
Come nella poetessa Sveva Bonura: “non resta che affidarsi al desiderio di rinascere, tra illusioni e frammenti di speranza” (2022), “la speranza della carne è attendere il tempo di rinascere e palpitare ancora di luce” (per Giuditta Guliano, 2023), “dalla sofferenza estrema alla volontà di rinascere” (per Arianna Galli, 2022), “l’inesausta e fertile voglia di rigenerarsi” (per Daniela Stasi, 2024).
Custode delle speranze e delle disillusioni, segretario – nel senso etimologico del termine di custode dei segreti poetici – Franco Manzoni ha esplorato, con brevi pennellate ermeneutiche, centinaia di libri di poesia (ma non mancano numerose e pregnanti considerazioni anche su opere narrative e saggistiche), sempre fedele a un rispetto e a una autenticità di sguardo profondamente democratici verso le personalità più diverse, ponendo tutti e lui stesso alla guida di una “storica” e mitica processione di tedofori a celebrare la fiaccola sacra della Parola, perché sia ancora dispensatrice di luce di intelligenza e di anima in questo primo quarto del nostro tormentato terzo millennio.



