Infantino: architetto di energie. Musica, impegno e spiritualità. Nota di Antonio Lotierzo

Mi sono trovato in seria difficoltà, di scelte e di prospettive analitiche, volendo segnalare la ristampa, presso Eretica Edizioni, de “I denti cariati e la patria e altre poesie” di Antonio Infantino. In primo luogo, ho avvertito come mio errore di ricognizione, non aver inserito Infantino nel mio modesto repertorio de ‘Poeti di Basilicata’, uscito negli anni Ottanta (in cui non è registrato neppure Mango, che fiorirà dopo, da un lagonegrese povero di poeti). Ero ignorante; per me il tricaricese, di formazione potentina e fiorentina, era solo il musicista del gruppo dei Tarantolati, che tutti abbiamo amato e stimato. Con Eretica torna un testo poetico raro e il lettore teoretico può rientrare in contatto con quei brandelli testuali che, in aggiunta, costituiscono la base per le perfomances musicali, teatrali, di piazza. Poesia sperimentale, anche questa di Infantino, parte dall’attacco al linguaggio della pubblicità (“Vecchia Romagna etichetta nera / il brandy che crea un’atmosfera” p. 13), che viene mescolato con distici in latino medievale, da sottinteso canto gregoriano (“benedicite sancti et humiles corde domino / laudate et superxaltate eum in saecula”, ivi). Lo sperimentalismo espressivo sottintende una filosofia (alla H. Marcuse?) di anticapitalismo estetico che mescola temi della Romantik (sì, qui anche ‘beat’) con una visione politica terzomondista e fortemente aggressiva, quanto attratta, verso l’americanismo, verso e contro il consumismo che ci ha fasciati nella propria geopolitica. La scelta mitizzante di forme espressive della cultura popolare risulta identitaria per Infantino che scopre, sceglie, rappresenta e valorizza una controcultura viva quanto ’subalterna’ (diranno i gramsciani, ormai imborghesiti), da cui se ne estraggono solo lacerti, ma di quale qualità espressiva, di quanta forza e potenza comunicativa. Nelle poesie si trovano altri temi seri: l’avversione per la guerra; l’ironia verso i ‘padri della patria’; la discussione della qualità della libertà democratica, troppo spesso concessa ‘dall’alto’ e da un ‘dio buono’ (p. 23) e la democrazia come garanzia di pace nel mondo (p. 28); i denti cariati della ‘donna medioborghese italiana’; i narcisismo degli anonimi cittadini (‘SEI COCA COLA / NON PENSARE’); l’avvertire l’ingresso della Cina nella nostra storia (p. 30); il riuso contestativo del Cantico francescano, in un mondo ‘che domani potrà essere distrutto’ (p. 31), non so se qui rinvia al pericolo atomico. Nessuno esce fuori dal contesto storico ed Infantino va ricostruito partendo dalla storia italiana dal 1968 al 2000; dalle relazioni con la storia mondiale fra Usa e Cina; dalle linee di contestazione al neocapitalismo, annodate con l’utilizzo delle pratiche tradizionali di medicina coreutica, basate su strumenti semplici quali il cupo-cupo e la batteria; con l’aprirsi a forme di religione mistiche e mediterranee, con il riannodare – come iniziò a fare George Brassens – melodie rurali con argomenti urbani, non da ultimo attribuendo nuova valenza al comico, all’ironia ed al capovolgimento materiale delle pretese piccoloborghesi (che lo porteranno a collaborare con Dario Fo).

Nella seconda sezione: Beat(ed) from tarantula (1950-1980) si descrivono le caratteristiche dei ‘ Tarantolati’, con questa versificazione: “ Cosa significano i Tarantolati!!! / assolutamente “OFF LIMITS” / al di fuori della follia, al di fuori / della malattia, al di fuori della/ religione, al difuori della musica, / un corpo che si rotola e danza / nello spazio della mente, che / si distrugge e rigenera tra / i sogno e la veglia.” (p. 35). Qui l’accento è posto su ‘al di fuori’; sul situarsi ‘ off limits’, sulla non classificazione corrente delle esperienze svolte e presentate, che rappresentano quelli che dicono ‘siamo entrati nella storia anche noi’! Infantino scrive di ‘dimensioni sefirotiche’! La poesia e la musica trasportano nella dimensione d’emanazione divina, fra cabala e neoplatonismo, nella corrente dei ‘venti solari’. Seguono gli undici testi intitolati: ‘chissà perché’, una sezione che variegate esperienze di dolore, di vitalismo, di pericoli mortali, di incidenti, di droga e levitazione, del sentirsi in una casa senza pareti (esperienza che sarà poi ripresa in ‘Succhà’, del 1998). In un testo affiora un raro aspetto del comportamento sessuale rurale: forme episodiche e per lo più adolescenziali di accoppiamenti con animali, che vengono sempre raccontati attraverso il riso, perché solo la sfera del comico riesce a mediare, come carnevalizzandole, le perversioni, per restaurare una matura coesione sociale, fondata sul lavoro e la condivisione delle sofferenze esistenziali. È quanto ho registrato e rilevato nei ‘canti eleuterici’ che presentai nel mio saggio ‘Io tengo un organetto’; è quanto discusso da Raffaele Corso in ‘La vita sessuale nelle credenze, pratiche e tradizioni popolari’ (Olschki) o approfondito da Domenico Scafoglio anche nei ‘racconti erotici’. Non va dimenticato che questo volume di Eretica è intarsiato da particolari disegni e significativi, per lo più irrealistici e spirituali, segni d’una dimensione surreale e da coscienza espansa. Del 1968 è la sezione intitolata: “Ho la criniera da leone perciò attenzione”, un decina di testi privi di metrica, di forma futuristica o dadaistica, a sfondo musicale o teatrale, adatti alla pronunzia ad alta voce e spaziati nel centro pagina: “ nella scatola cinese: / ci sono le nuvole / ci sono le nuvole                                  che cercano amore/ e nelle nuvole/ e nelle nuvole non ci sono cannoni” (p.52) oppure: “ Cari signori e signore, / da oggi nelle banche ci sarà GRATIS / cioccolata, cocacola e mariujana/ ATTENZIONE? ATTENZIONE / io voglio mandare tutti i miei problemi in cielo / ma sono tornati indietro;/ allora li ho dipinti di bianco e li ho mandati / a mia madre / ma lei già nuotava nel mare” (p. 53). Del 1973 è la sezione ‘Spazio naturale, artificiale a ‘N’ dimensioni’ dove la riflessione è sullo spazio, in cui ‘i grandi problemi si sono mescolati alle stupide storie di ogni giorno’ (p. 61). Cosa è l’architettura se non, anche, una ricerca di relazioni, tesa a ‘trovare la causa’, in quanto lo scire per causas equivale a ‘trovare la capacità di entrare nel processo di creazione’ dell’essente ed avvertire che vivere è creare e che ‘ vivere significa essere partecipi di tutte le cose’ e che questa empatia e compartecipazione significa ‘ provare la gioia di stare con gli altri’. È questo il progetto dell’architettura comunitaria che Infantino metteva in atto nei concerti, nelle performances teatrali: fornire felicità agli altri e goderne insieme nei suoni incalzanti e ripetitivi, utilizzando il magismo mitico-rituale della taranta, in cui tutto si risolveva e s’avviluppava. Ma cosa avveniva ed avviene in quelle ripetizioni timbriche-sonore? È l’eterno ritorno, è il ‘momento in cui tutto torna a ripetersi: i momento di passaggio de particolare nell’energia totale’ (p. 62). Energia, passare nell’energia totale; non è questo il misticismo, il ‘momento’ di con-fusione dell’io nella totalità, interpretata come energia quantistica che, invisibile, regge la sostanzialità degli essenti che com-partecipano ai rituali della musica in concerto.

Con questi spunti filosofici, elaborati fin dal 1971, mi pare, Infantino pensa ‘ la vita di ogni individuo (che) ha bisogno di uno spazio per realizzarsi’ e questo ‘spazio’ si lega e tesse con altri spazi, che fanno coabitare la Natura Naturans e la Natura Naturata, ciò che chiamiamo con ‘nomi più vari: albero, casa, cielo… (e che) nel momento prima della morte diventano solo un ricordo adimensionale’ (p. 62).

Seguono alcuni ‘sogni’, raccolti fra 1971 e 1973, pagine in prosa ma di una poematicità in prosa che costituisce una sintesi teoretica che ‘decostruisce’ i concetti di spazio, vita, morte, energia, massa, territorio, le ‘n’dimensioni dell’esistenza, oggetti come sorgenti di colori. I fili della vita di ogni individuo quali trame tessono nello spazio? ‘ IL TERRITORIO E’ IL “LUOGO”. IL “LUOGO” E’ LA / SINTESI DELL’AMBIENTE E / DEL GRUPPO UMANO CHE LO ABITA’ (p. 72). E una terrazza è ‘ il confine fra la terra e il cielo’; la ‘ terrazza araba è il piano della memoria’. La città è ‘una sottile linea energetica: un vortice di fumo’. Quale è lo spazio? Quello delle Upanishad o di Ezechiele o dell’apocalisse di Giovanni o di Marx che lo strutturava in relazioni economiche? E quando pensate all’energia, perché pensate soltanto ad una cosa fluida, in realtà può essere una ‘concentratissima dose di uranio’ o come le pietre dell’architettura (p. 77).

Segue la sezione intitolata ‘La nave dei folli’ (1987-1990), costituita da razi (testi di spiegazione, usati dai poeti provenzali) e due canzoni finali. Viene presentata un’immagine d’un dio terribile, che ci muove come automi ed esseri privi di libertà, spingendoci ad un solo imperativo: comprare, correre a comprare, pagare e comprare. Compulsivamente. E l’uomo vecchio e dalle carni consunte è giudicato inefficiente, inutile al sistema, già morto, un pupazzo. E infine, il mantra del ‘tutto cambia’, anche moglie, figli, tutti cambiano. Si passa poi alla teoria del comico: ‘chi non ride è malato’ (p. 85). Vi stato un tempo in cui le malattie si curavano con il teatro comico; tempo in cui si analizzavano i caratteri con i teatro comico. Con la commedia dei caratteri si è imparato a ridere; ‘dall’esperienza quotidiana abbiamo imparato a ridere e trovare comico un coro di cardinali con la ‘R’ moscia, un coro di capi di stato col tic alla guancia, un coro di generali che si alza sui tacchi” (p.85).

E infine, in sintesi da meditare: “COMICO E’L’ASSURDO, L’EQUIVOCO, ILPARADOSSO, ILPROIBITO”. Ebbene queste regole, arricchite dalla nostra esperienza, le abbiamo messe dentro ai canti ed alla musica di questo spettacolo“(ivi). Frasi che rinviano sia alle forme culturali scelte che ai criteri metodologici con cui Infantino ha presentato la sua musica, quella dei Tarantolati e le forme teatrali- concertistiche che hanno assunto. Da Hieronymus Bosch a Dario Fo – Enzo Jannacci -Fabrizio De André, con un sottofondo meridionale di Felippo Sgruttendio, semmai implicito nella cultura contadina.

L’ultima sezione di questo prezioso volumetto-canovaccio è intitolata: “L’Italia non esiste. Ma noi sì, eccome per Dio!!”, illustrata con maschere del teatro greco, che affondano il contraddittorio presente in antiche radici. Infantino parte da una sua interpretazione della ebraica ‘Genesi‘ e scrive: “Dio, il creatore, se ne stava immobile e riempiva di sé tutto, e si specchiava da tutte le parti, parallelamente, in un’inerzia infinita, il suo pensiero era talmente infinito e transfinito che per contare il suo corpo di piani infiniti e paralleli si sbagliò e per errore, da sé stesso, creò il mondo generato da quell’infinitesimale sfasatura nel cui vuoto si creò una bolla d’aria che cominciò a logorare i piani paralleli che si trasformavano in miliardi di altre cose, vibrando suono e luce nella mia global home internet” (p. 95). È inutile raccordare questi pensieri con una teologia, più o eno dogmatica; qui vale la sua libera interpretazione, la sua sensibilità ri-creativa. Segue un ‘almanacco’ di tredici pensieri (sintesi esplicativa degli effetti, ad esempio, dell’LSD, della cocaina, del vino, dell’hascisc, della marijuana, dell’oppio, dell’eroina, della morfina). Concentrazione estrema idee e d’esplicazioni, senza mai produrre una discorsività ulteriore, forse ritenuta inutile e ridondante rispetto alla secchezza delle formule. E tale concentrazione prosegue nella esplicazione figurativa dei quattro elementi umori e dei tre ‘gradi del cammino verso l’amore ed il piacere di vivere’, di cui riporto l’inizio del terzo grado: “Solo quando il ‘cazzo’ tocca il ‘punto origine’ dell”oceano di energia’ si attivano le energie vitali interne ed esterne, cicliche, e scompaiono gli affanni ed i mali” (p. 102). Siamo nel pieno di una filosofia dell’amore sociale, un tuffo nel misticismo non esprimibile in commenti ‘intellettualistici’, forse bisognerebbe collegarla alle pagine di M. Yourcenar sugli amori settari, rievocati in ‘Opera al nero‘ o all’educazione estetica di F. Schiller o al N. O Brown de ‘La vita contro la morte‘. Lungo e carsico percorso.

Man mano il suo vestiario si adatterà a quello di un mistico islamico, con tuba e foular, segno della trasmutazione alchemica. Notevole la videografia consultabile su di lui: Patria indipendente n. 148 (Chiara Ferrari); Luigi Manconi, La musica è leggera, 2012; lungometraggio di Luigi Cinque: The fabulous trickster del 2018; Adriano Ercolani in Minima e moralia; Alida Airaghi in Sololibri.net e poi le molte registrazioni raccolte in Youtube. Forse qualcuno scriverà una biografia romanzata, la materia si presta, oppure un’antologia illustrata. La registrazione del funerale presenta i commenti di Vinicio Capossela, di Canio Loguercio dalla voce straniante e molti coautori, che lo ricordano come un maestro apripista.

Chiudiamo con suoi versi: “Sono nato dalla terra e dal cielo stellato/ stella fra le stelle vengo tra voi / e quando avrò bevuto, puro tra i puri / percorrerò le strade, già percorse / dagli altri mistici e baccanti. Eroi! ” Auguri anche al Circolo ed al gruppo degli AMARIMAI, che ne riprendano temi e sonorità con partecipe originalità.

Antonio Lotierzo

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