
Libro dal grande successo di critica e pubblico, come si dice in modo che in genere non si applica alla poesia, Prima di Gabriella Cinti (Puntoacapo editrice, 2024) è una raccolta di grandi riscontri, tanto da essere giunta alla II edizione – il che, anche per Puntoacapo, è un traguardo importante e non comune, corroborato da risultati probanti in Premi di qualità, tra cui il Franco Enriquez, lo Spoleto Festival Art Letteratura, il Città del Galateo 2023, L’arte in versi, il Città di Mesagne.
È un risultato a cui contribuisce soprattutto la fresca novità del libro, che tocca punti molto sensibili della riflessione poetica e non solo, allacciando in modo fertile e innovativo la rivitalizzazione del mito e le suggestioni delle scienze contemporanee, dalla paleontologia alla fisica.
Pensando alle tematiche, Prima unifica infatti i due filoni, apparentemente distanti e contraddittori. L’immagine del bacio che sta “all’inizio della vita” può già condensare un intero nodo di idee, per non citare l’“amor che move il sole e l’altre stelle” (ripreso in esergo), in cui l’amore non è tanto inteso in senso religioso e specificatamente cristiano, quando come flusso di energia che concretamente – nella trasmissione ad esempio del DNA mitocondriale – diventa (bellissima metafora) una “catena d’amore” (p. 34) che si replica in noi (e nonostante noi) che in senso banalmente spiritualistico in cerca dell’“oltre dell’oltre” (p. 23).
La definizione di “governo del due”, poi, si connette agevolmente con suggestioni umanistiche che possiamo identificare con i temi di soglia, incontro, fusione fra gli esseri del creato. Le “creaturine” vegetali e animali, disperse in un Prima lontanissimo nel tempo e con cui Gabriella Cinti instaura un dialogo pre-logico, empatico e più ancora amoroso, sulla scala cosmica dell’universo non sono dissimili da noi, anzi diventano precise figurazioni di ciò che siamo, alle soglie di un’epoca post-umana: fragile e precaria materia accesa da una misteriosa spiritualità, sostantivo che nella poetessa marchigiana va interpretato in maniera lata, alla luce del valore fondante e onnipervasivo del mito, di cui è appassionata studiosa.
Come scrivo nella Postfazione, “Gabriella Cinti risale alle origini, cerca la continuità inabissandosi nel passato delle specie, collegando quel magma primordiale, di cui non restano che labili tracce, al nostro presente, alla nostra e alla sua stessa vita, alla ricerca di connessioni, fili che colleghino a noi quel caotico abisso di casualità, ipotesi, vicoli ciechi dell’evoluzione e deviazioni impreviste.” Il tutto, come detto, è presieduto dalla pulsione erotica, che perfettamente rappresenta i due poli del discorso, senza cedimenti al patetico o all’effusione. Basterebbe infatti, per inquadrare il lavoro di Gabriella, leggere con attenzione il testo incipitale, Chissà se piangevi?. Camminando sul bordo infido del sentimentale, ma senza mai cadervi, la domanda verte in realtà sulla definizione dell’umano, sul processo evolutivo e su quel momento (che non potrà mai essere definito come un punto preciso) in cui è applicabile la definizione di ”umano”. Gabriella si concentra su un passato remotissimo, su una creatura pre-umana alta solo 60 centimetri, cercando di rintracciare in lei già i primi barlumi di una capacità di sentire che associamo al pianto. Tutto il libro è però disseminato di momenti di forte riflessione poetica su temi che potremmo ascrivere alla scienza: dall’evoluzione alla freccia del tempo (Amore quantico, p. 78), per citare solo due spunti.
Prima ha una impostazione che potremmo ricondurre a una coerenza poematica, e la mobilità del verso, con la capacità di creare strutture sintattiche ampie e ariose che si snodano con grande senso ritmico, non fanno che dare coesione a una solida intelaiatura stilistica, sorretta nel caso da note precise su creature animali e vegetali.
I fili di una traccia autobiografica, intessuti a questa ampie tematiche, non autorizzano mai a parlare di autobiografismo, o peggio diarismo: il filo della vita singola, degli affetti e degli accadimenti personali, è anzi visto su uno sfondo amplissimo nel tempo e nello spazio, davvero cosmico e (mi cito nuovamente) diretto verso l’alto delle stelle, in una spiritualità panica che supera la “prigione della materia” (p. 22),
Mauro Ferrari
*
Collezionista di segni
I graffiti primordiali tessono la storia dei sogni,
il cammino
verso l’altra parte della roccia,
inseguire l’oltre anche oggi,
come un sapore,
con la sensibilità gustativa degli eucarioti,
collezionista di segni,
mai sazia di simboli.
Cerco in ogni voce nascosta dell’Inizio,
l’odore delle parole sulle pietre
intrise di antichi suoni
sparsi come la frantumata vita d’origine.
Sentirsi neanderthalensi
e offrire pagine raccolte
in mazzi, come allora
trofei di stambecchi
per gli estremi assenti
ma vivi in noi.
Penso anche agli occhi di mare
dei morti dal Paleolitico,
conchiglie sostitutive di pupille
per guardare l’oltre con bellezza minerale:
cercavamo da sempre una vista segreta
perché la luce più bella
È SEMPRE quella invocata.
Ora tra le inquietudini ammassate
dell’Antropocene,
prestami un desiderio
nella notte delle stelle pensate
fiorite nelle galassie
silenziose dell’altrove.
Regalami un Segno
come gardenia da appuntare
nell’occhiello del cuore.
Dispensami sperperi di sorrisi
e battiti tra tuffi di sussulti
per sciogliere agile
le corde strette di oggi
con il Miele del più sacro Auspicio.




Le parole di una fata.