
(Carlo Levi, Ritratto di dormiente)
La mia ruga fuori posto
Ecco la mia immagine fissa allo specchio,
il mio sguardo si ferma su una ruga fuori posto.
È estranea ai luoghi soliti del volto,
è lo scorrere del tempo
oltre i confini delle mie espressioni.
Certamente è il mio viso da un vissuto diviso,
assemblato e ricomposto in tutte le sue parti,
ma questa ruga s’impone per un suo proprio esistere,
strappato all’abituale armonia degli spazi
per indurre a pensare a nuovi inizi.
Ecco che il bilancio è il pensiero che mi domina,
non riesco a evitarlo e,come un tarlo,
mi ricorda l’ansia del tempo trascorso
che, da sconfitta, interamente mi attraversa.
La pelle irreparabilmente trafitta
da questo punto esclamativo che non lascia scampo,
una parentesi inversa
che non si chiude a nuovi percorsi.
È il solco degli anni trascorsi,
della fatica delle parole non dette
che adesso svettano come saette
irrimediabilmente sulla pelle.
È ciò che resta di una donna ribelle
sempre dentro uno schema imposto,
quella libertà da equilibrista
col costante rischio di caduta
dentro a un giudizio moralista.
Qualche battito d’ali dentro una gabbia più grande,
l’importante conquista senza troppi danni,
quel movimento concesso
per contenere ricatti e affanni.
Quanto orgoglio nei vissuti dentro i limiti
trasformati in aree sconfinate.
E ancora mi ritrovo come stavo
con le vite immaginate,
immobile a fissare la mia ruga fuori posto,
così visibile e prepotente
che nulla fa nella sua piena libertà
per cercare di appianare il segno
e adeguarsi allo schema dominante.
Espressione di un tempo immodificabile
che non può più essere recuperato,
ormai andato e per sempre riposto all’ombra di un sacrificio,
dedicato a chi nasce libero e ligio
nell’incessante ricerca del suo autentico posto.
*
Il fontanile di casa
I ricordi fanno sempre ritorno,
mentre cammino
per le strade in cui correvo,
quando i respiri
erano morsi d’aria fresca.
E mi perdo…
dolcemente mi perdo
nel sali scendi delle case,
tra i portoni parlanti e gli intimi segreti.
I ricordi qui viaggiano veloci,
proseguono tra i filari degli ulivi,
rimbalzano all’ombra dei muri
e, come un coro a più voci,
ondeggiano sull’avanzare dei fiumi.
Ora l’abbraccio possente del padre
non ho più…
Mi manca…
manca quel vuoto che non c’era,
quella stretta tenace e vera,
in cui lo spazio caparbio
non trova mai posto…
Un adagio di sottofondo mi accompagna
tra i vicoli in cui mi confondo,
tra i giochi e la cura.
Tutto questo ed altro ancora
vorrei tenere con me,
ma poco distante
giunge il ritmo martellante,
da cui da sempre mi difendo
e a cui tra qualche istante
invece tornerò.
Forse allora
solo un vecchio fontanile
è l’immagine che prenderò,
abbandonato e nascosto
tra i cespugli abbarbicati,
col suo carico di anni e di crepe.
Malandato,
gocciola senza riposo,
guardando da sempre
la stessa rupe.
Lo terrò con me…
si, lo terrò con me,
questo fontanile trascurato,
come un folle
che non vuol essere capito.
Lo terrò con me,
finché quella che ero
continuerà a starmi accanto,
finché apparterrò al mio racconto,
a quel presepe di memorie,
consumate e segnate
da un solco profondo.
*
Nell’intimità del bosco
Le cime alte degli alberi
avvolgono i miei pensieri,
li circondano,
li trattengono,
li restituiscono alla mente.
Nel silenzio,
i miei passi da viandante,
tra le foglie cadute,
frammentate da orme già passate,
scandiscono un tempo ormai vissuto:
Memorie sospese ed imbrigliate
in questo spazio quieto.
Ecco i confini
che ho sempre temuto,
oltre l’intreccio delle crepe,
oltre l’ombra del terreno,
in questo bosco saraceno,
dal tortuoso intreccio muto.
Le chiome
di foglie ancora appese,
liberano il sole nelle chiazze arrese.
Niente,
oltre questa nicchia verde,
che come un utero protegge
e l’anima comprende.
Allora mi nascondo
tra la rete dei mirtali,
tra il muschio umido di pietre,
tra i tronchi secolari,
all’ombra di colonne
rinchiusa e prigioniera in questa piena libertà.
Geltrude Consalvo



