La poesia civile di Plinio Perilli

“Riservo per voi le ultime poesie che ho di cuore e di mente liberato sulla pagina.

 Ora mi accorgo che, sulla scorta della mia ultima raccolta, il Museo dell’Uomo – e certo anche per l’asprezza e la terribilità dei nostri ultimissimi anni, dal 2020 in poi (pandemia del Covid, guerra Russia-Ucraina, emergenza climatica, crisi industriale ed energetica, violenze private, femminicidi…) – sono un po’ tutte poesie civili. E a dire il vero, sempre più mi rendo conto che, pasolinianamente, ogni vera, ispirata poesia, è per passione (giammai per ideologia) una inevitabile, anzi auspicabile poesia civile.

La passione non sono solo i baci e gli abbracci degli innamorati – è lo sguardo umano, troppo umano, sulla Realtà, che ha sempre ragione e ci chiede forse sempre di più, e possibilmente il meglio dei nostri sogni e bisogni. Una sacrosanta rettitudine di speranze e desideri, impennate amorose ma anche arrendevolezze sentimentali, sensiblerie dicono i francesi.

Dunque la mia chiave di violino era davvero questa; intonare, accordare il proprio rinarrato, versificato sentimento, coll’incipit indimenticabile de “Il pianto della scavatrice”, vero culmine del Pier Paolo anni ’50:

“Solo l’amare, solo il conoscere / conta, non l’aver amato, / non l’aver conosciuto. Dà angoscia // il vivere di un consumato / amore. L’anima non cresce più.”

Comincio con “Inginocchiata dinanzi al male”, che mi è sembrato in gesto forte e disperatamente umile per salvare la pace, la non-violenza… Proseguo col giusto omaggio de “Il Medico Buono”, cioè la vita e la missione di Gino Strada, medico di Guerra, come amava considerarsi, riconoscersi. “La tenda dell’abbraccio” è stato il momento forse più fulgido e necessario di tutto il periodo del Covid… E “Se questo è un bimbo” (ribalto e vario il gran titolo di Primo Levi), rappresenta una delle pagine più disperanti e atroci dell’abbandono americano di Kabul. Quando la Pace non rende, si rinuncia a difenderla a costruirla. Questa è la nuda, dissennata verità.

Ma la poesia, sceglie sempre e difende la verità. Ecco uno dei suoi pochi imperativi categorici. La legge morale resta dentro di noi: il cielo stellato, beh, a volte s’annuvola, si scherma o s’incupisce pur nella sua fervida, altissima e infinita brillantezza.”

Plinio Perilli

Inginocchiata dinanzi al Male

Inginocchiata dinanzi al Male

– un Male armato fino ai denti –

Suor Ann con la forza dell’umiltà

supplica, scongiura, impetra…

come si fa con Dio, di scegliere

la Pace!… Per questo ci è sorella,

due volte: come suora consacrata

nei voti, e in più creatura specchiata,

trasfusa alla nostra impaurita pietà.

Vi prego di non sparare!

Il volto non si vede, nessuna foto

ce lo mostra – ma diventa in cuore

quello di tutti: le fattezze esemplari

di chi abita l’anima, e ne è abitato…

Quel grigio della sua veste confina

sacro col blu del cielo, ha l’eleganza

spoglia dell’Umano che sceglie nudo

il rito della terra, polvere e fango.

Ci resti allora solo il suo sguardo

che non vediamo, la povera testa

inchinata, allibita: una richiesta

ferma di misericordia, di un’ansia

suprema indirizzata agli oltraggi

nefasti, scandalosi degli uomini,

alla virulenza che si finge, si arroga

legale, e invece proprio non lo è.

Vi prego di non sparare!

Chiedere ai malvagi la Grazia è già

quasi redimerli, dar loro l’ultima

chance per evitare macabro l’inferno

ed entrarsene pentiti in purgatorio…

Che è un bello sconto di pena!, solo

a pensarci: non come rito abbreviato,

ma anzi prolungato quanto lo stupido

sogno d’un diavolo di tornare angelo.

Un angelo è già Lei, Suora di tutti,

che prega in luce il Male perché,

da dentro, il Male si penta, rinneghi,

ribalti l’ombra eterna a nuova luce…

Lei che implora in pàlpito il Potere –

o forse più s’umilia più lo condanna

all’ignominia, quasi a una implosa,

taciturna e immane flagellazione civile, 

suturata o inguaribile ferita universale.

Umiliata e pura, mai offesa se non

dagli uomini – spergiuri nel disegno

di Dio, caini in armi e grinta di mille

violenze, poi in uniforme aggregati,

intruppati a offendere… Ma Lei,

tanta asprezza, la dissìpa, la sradica

in cuore. Perché, dopo tante grida,

e minacce – solo il cuore resiste

a dirci umani, degni di perdono…

Vi prego di non sparare!

Il nome? Suor Ann Nu Thawng,  missionaria saveriana birmana. Luogo e tempo?  Myitkyina, capitale dello stato Kachin, nel Mynamar del Nord, addì 28 febbraio 2021. La fragile ma coraggiosa suora cattolica è scesa in strada per supplicare in ginocchio le forze di sicurezza di non sparare sui giovani manifestanti che protestavano pacificamente.

*

Il Medico Buono

(a Gino Strada – 1948/2021: “chirurgo di guerra,” così amava definirsi, e “fondatore di Emergency”)

Il Medico Buono volle anzitutto

curare gli ultimi, i dannati della Storia,

che è quasi sempre il peggiore

dei mali… Il Bene invece è farlo,

costruire il miracolo d’un ospedale

dove anche un virus soffre ad abitare,

o un brutto incubo ad esserci, atterrire.

Così le sue stelle cadute in terra, furono

proprio i luoghi più ostili, i gironi,

le plaghe dantesche, selve oscure

o deserti, malebolge dove gli spari,

le violenze e gli eccidi depredano anche

i diavoli; e l’Inferno, esce dalla metafora

e s’incarna residenza, ludibrio dell’Umano.

Troppo cuore poi lo ammala, il cuore:

ma chi glielo dirà, ora, a quei bimbi

troppo gonfi o scarni, a quelle mamme

eroine affamate, umiliate, sì, a quei padri

difettivi, che il Medico Buono non c’è più?

Non c’è e ci sarà per sempre, tornato Idea.

… Si è assentato in Cielo, si è perso

nella luce: richiamato in un colloquio,

o consulto d’anime. Forse, tra le nuvole

più alte, dovrà sorgere un bianco ospedale.

Per curare anche gli angeli: ali ferite

dai troppi voli, per custodire gli uomini,

per amputare, ricucire le guerre, le paci.

Le infezioni che pure in cielo sanguinano,

stillano, trasudano più bianche – e noi

non le vediamo, ma le sappiamo dolenti,

salvate, bruciate dalla luce. Come fiori,

vento o cirri di sguardi, l’accoglienza

che a un altro Medico Buono, il Primario

Celeste, fece dire, giurare evangelico: “Gli ultimi

saranno i primi”. Emergency è ogni Fede.

*

Se questo è un bimbo

(Agosto 2021: in Afghanistan – orrido set

sembra stiano girando il finale di una

perfida, atroce, tragica e nuova Iliade…)

Nemmeno Astianatte ebbe sorte

più crudele e assurda… Immaginate

un figlioletto gettato dalla madre

oltre il filo spinato, il confine legale

d’un aeroporto, perché si salvi

almeno il suo futuro, sia forse preso

da agenti o soldati, buonanime a caso,

purché il caso gli sia divino, dia luce.

Nemmeno al mitico figlio sventurato

accadde nulla di simile: un’ignominia

cosmica, peggio che strapparlo insieme

al padre eroe, volato nel cielo d’oro

e di ferro dei guerrieri, ed alla madre

resa vedova dal Fato, perché la Storia

trovasse bella un’eroina al canto dei poeti.

Tanti laceri Astinatte di oggi non fanno

una nuova Iliade on line,fastidiosa anche

agli Dèi… Giove non c’è. Moglie e

amanti pure. Gli eroi, scappati, rinnegati:

ammesso che lo fossero. Ma ecco il fumo,

il rombo assordante degli ultimi voli, il dono

ai miseri, ai profughi, per mettersi in salvo.

Ed ecco, è qui che arriva Andromaca:

una, tante, ciascuna col suo Astianatte

che ha bisogno dell’ONU, non dei versi

immortali, della barba di Omero. I reporter,

ora, fanno elegia – dipingono immagini

plastiche come statue indicibili. Gettare

un figlio in aria, oltre il filo spinato,

perché si salvi nella luce pietosa, e

trovi mani soffici, assai più delle nuvole.

Neanche ad Auschwitz, successe, nei

lager di allora – dunque di sempre. Tanta

speranza calpestata, Kabul che esce

fumosa dallo sguardo, e torna sogni

o aquiloni bruciati, poema dell’orrore:

come Troia che brucia, e la principessa

Andromaca nasconde nel buio delle

vesti il suo Astianatte: e corre, impazza.

Corre e delira, prega e impreca, verso

il decollo al cielo! E libera quel bambino,

piange e lancia quell’amore roseo, paffuto,

verso la ruggine, il sangue del filo spinato, oltre

le Moire nefaste della sorte: per commuovere

sia Dio che gli uomini – Se questo è un bimbo.

*

La tenda dell’abbraccio

– 27 gennaio 2021: ogni giorno è quello della Memoria, se un amore si abbraccia

Fluttua, respira insieme aria pura

e polmoni di luce. Libera e assoluta.

Antisettica. Morbida, trasparente come

il desiderio più tiepido, ma severa

d’imperativi, norma essa stessa: per attuare,

proteggere l’amore, il suo bisogno estremo

d’abbracciarsi, di stringerci in nodo

ineludibile… Plastici, guardinghi,

giurarci almeno in dono quella stretta.

La tenda dell’abbraccio vige quaggiù

in terra forse a conforto del Cielo,

e regna burocratica come una grazia

terribile, tagliente, sutura dell’Angelo:

l’assoluzione finale che al condannato

ridà la luce. Non c’è più spazio, dentro,

per le parole, ma quell’abbraccio salda,

reinventa tutto, ci insegna che amarci

è forse la sola essenza, ala vera dell’uomo,

l’unico premio che la Storia affida al cuore.

Gli occhi implorano, balenano questa

grande Grazia. Il resto è solo virus

e paura: come quando in guerra esplode

il colpo, l’ordigno… Se dopo pensi al

dopo, allora tu sei vivo, resti illeso

alla terra, figlio del cielo e della luce.

Tenda che fluttua e trasluce, conduce

in essa tutto il creato, le stelle, i pianeti…

Ancora e sempre le parole dell’Angelo…

La tenda Gènesi, sotto cui Abramo divinò

i suoi figli, possedé Agar, vecchio fecondò

la vecchia Sara; dove gli Angeli custodiscono

eroi e sovrani, ma anche pastorelli semplici

che come i poeti parlano solo alla luna…

La tenda ara pacis di luce, minima/immensa.

Che copre e ora certo salva, abbraccia

mezza storia dell’Uomo, il rito di ogni vita

che nelle RSA invecchia il suo destino.

Anima e Corpo, vi fluttuano sospesi,

inseparabili. E le parole tutte, fioriscono

in silenzio. Alfabeto di gesti, sacramento

abbacinato di plastica. Branchie di pàlpiti.

Battesimo e nozze col Futuro. Galassia

che sbrilluccica baci e abbracci – sgualcita

d’infinito come gli sguardi buoni dei bimbi –

più buoni se malati, perché al Bene ci credono!

E a questa tenda, dove si torna tutti a fare

famiglia, essere Amore. Essere, non solo dirlo.

(In molti ospedali o case di cura, l’unico contatto possibile coi propri cari, per i malati di covid, può avvenire sotto, dentro quella che è stata chiamata La tenda dell’abbraccio.  … Stringersi almeno lì sotto per pochi istanti, minuti decisivi, grazie a un dispositivo, un presidio di plastica sanificato di trasparenza ed elevato ad amorevole conforto di luce. …  L’idea della Tenda degli Abbracci – miracolosa, davvero, verso l’incredula tristezza dei bambini – è venuta alla Dott.ssa Amalia Allocca, Direttore Sanitario del S. Raffaele di Roma.)

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