NO alla guerra

rovine

 

Di più dobbiamo darci
di chi è a corto di ideali.
Assai di più delle sviste e le rovine,
degli ansanti ” sto morendo”.
E a quel paese i Palazzi,
le conquiste infami, il Potere.
Pelle contro pelle: controsenso,
controvento.
Simili, non  pazzi
in questo spazio spento.
Uno specchio, un po’ di gel sui capelli
dopo i razzi.

Luciano Nota

9 commenti
  1. (BOZZA)

    Sulla difficoltà di dire di Gaza in poesia

    ma nel bosco appartato si sentiva forbito
    l’eloquio della letteratura
    pulsava addolciva mi negava l’urlo in gola

    fossimo metafisici la vecchiaia brutale del mondo
    l’accoglieremmo tra i denti ingialliti e fragili
    la masticheremmo ancora dolenti e via da qui

    a egregie cose s’addestrano invece i giovani poeti
    piamente miopi
    abbrustolitisi nell’inconscio dei servi beati

    le prose tenaci ci tentano ma non ce la fanno più a volare
    solo i poeti più sciocchi ci riescono nei cieli lustri di menzogne
    mentre i commenti cadono dalle bocche fatui impacciati
    mai abbastanza imbozzolati di notte

    e così gli dei malefici amministrano da lontano la morte
    nelle urne cinerarie dei grandi palazzi assolati

    non mi dite di quanti non mi dite di quanti
    non mi dite neppure quei nomi che resteranno d’ignoti tra un giorno
    sepolti in se stessi impensabili dalla ragione che dorme

    uccellini venite qui dite l’ultimo pigolio
    e poi stecchitevi senza requiem
    datevi voi una forma, una tomba

  2. C’è sempre molto altro da dire, ma in questo caso preferisco anch’io il commento solidale di una poesia. Scritta in questi giorni:

    Israele.

    Davanti a questo muro d’orecchi sento
    il rumore dei passi di una giovane sposa

    che cerca suo figlio e chiede guardando
    nell’ora che si è fermata.

    Vivo qui, dove non è caduta ancora l’esplosiva
    e penso agli angeli che non parlano

    per sempre, mi dico, come dall’altra parte
    non ci fosse che un infinito di rose

    che piangono rosse.

  3. @Luciano Nota

    Caro Luciano,
    beh, certo che la bozza di poesia è mia.
    L’ho messa sotto la tua stimolato dal tema, ma anche in leggera e fraterna polemica. Perché il “No alla guerra” mi pareva tanto “universale” da sfuggire alla realtà dell’oggi: bombardamenti a Gaza, scontri in Ucraina, logoranti distruzioni di vite e di cose in Siria, ecc.
    Possono i poeti “volare alto” su queste tragedie?
    Possono ridursi, d’altra parte, solo a scrivere poesia-giornalistica o di denuncia “indignata”?
    Questi i dilemmi che stanno sotto alla lunga discussione che stiamo svolgendo in questi giorni su “Poliscritture” in un post che ho iniziato appunto con una poesia su Gaza ( http://www.poliscritture.it/2014/07/10/punti-interrogativi/) e che segnalo a te e ai frequentato di “La presenza di Erato”. Non per “pubblicizzare” il lavoro di “Poliscritture” e mettere in ombra quello di “La presenza di Erato”, ma invitandovi a intervenire e a intrecciare sia i nostri discorsi di riflessione sulle guerre sia le nostre poesie “contro” di esse.

  4. Carissimo, hai ragione, ma il NO bisogna dirlo con forza e determinazione. Noi poeti non possiamo fare altro che scrivere versi, non abbiamo il Potere di fermare, possiamo dire ( come io ho scritto in un verso) che “pelle contro pelle”, uomo contro uomo è un controsenso, è andare controvento. Tutte le guerre vanno bloccate, TUTTE, anche quelle che passano sotto silenzio, colpa dei media. Il poeta denuncia, caro Ennio, vola alto con la parola, cos’altro può fare? Siamo poveri cittadini anche noi, con poca persuasione nei confronti di chi decide. Decide il Potere. io lo mando a quel paese( così come ho immaginato che lo mandino i soldati in guerra delle opposte fazioni, e che vadano allo specchio, si osservino meglio, e mettano del gel sui capelli per attirare altro e non i fuochi: fare all’amore, non la guerra). Frasi fatte? Già sentite? Strafatte? Per me sempre valide! Universali, come scrivi tu.

  5. Mi risuonano nella testa di continuo i versi di Quasimodo: “E come potevamo noi cantare”.
    Questa notte sono stata svegliata dai boati dei fuochi d’artificio di una festa per non so che santo e ho pensato alle bombe.
    Lascio anch’io un pensiero,due parole buttate giù stanotte.

    Ho visto i bambini morenti e le madri
    partorire ancora un ultimo respiro
    la luce inondava di rosso la polvere
    e Gino che raccoglieva i pezzi
    i fuochi delle bombe a notte
    come la pentecoste e dio non c’era.

  6. @ Luciano Nota

    Non me ne volere se insisto solo un attimo in più. Ma chi le BLOCCA le guerre, tutte le guerre? Nessuno di noi – intendo «poveri cittadini», come tu dici – oggi (e neppure ieri) ha questa possibilità. Le guerre si esauriscono quando i contendenti (e gli apparati militari, logistici, politici, ideologici che li sostengono) sono sfiniti dagli sforzi e a decidere tregue o paci più o meno durature sono le élites governanti. Ma allora i poeti « non possono fare altro che scrivere versi»?
    Bene, li scrivano.
    Ma che versi richiedono certi eventi come le guerre e le tragedie? Di generica denuncia? (Quante antologie di “poeti contro la guerra” sono uscite negli ultimi decenni!). Oppure versi che volano alto con la parola (alla D’Annunzio, alla Quasimodo)? O mandino (sulla carta) a quel paese (quale?) i governanti?
    Sì, detto sinceramente, in genere (ci sono sempre le eccezioni) questi atteggiamenti a me paiono pose fatte e strafatte, falsamente universali. Scrivendo le poesie di denuncia o di lamento che immediatamente sorgono “dal cuore”, i poeti perpetuano una tradizione sentimentale e retorica che gli mette la coscienza in pace e gli fa ottenere il plauso del pubblico sentimentaloide che non vuole pensare troppo.

  7. Mi scuso. Aggiungo le ultime due righe saltate:

    E che dovrebbero scrivere invece? Dovrebbero scrivere dopo aver pensato l’orrore della guerra e dei conflitti della storia al meglio delle loro capacità (emotive e intellettuali). Di esempi ce ne sono stati.

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